Quando il 19 maggio 2020 il governo Conte varò l’incentivazione edilizia del superbonus 110 per cento ebbi un sussulto di paura economica. La misura del 110 per cento mi ricordava il collega corrispondente dell’Ansa da Washington, che alla fine degli anni novanta mi disse di aver comprato una bella casa con un prestito conveniente di un fondo immobiliare pari al 110 per cento: 100 per cento per la casa e 10 per cento per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici. Aggiunse anche che si trattava di una prassi allora molto diffusa negli Stati Uniti. Questa prassi divenne ancora più comune quando nel 2001 la Federal Reserve avviò una politica monetaria espansiva con la possibilità di trasferire il rischio di un credito legandolo a un titolo di credito negoziabile sul mercato finanziario tramite operazioni di cartolarizzazione e creazione di prodotti finanziari strutturati. Nel mercato immobiliare, tassi di interesse bassi equivalevano a un basso costo del denaro per i prenditori dei fondi, ossia per le famiglie che richiedevano mutui ipotecari per l’acquisto di una casa e finirono pertanto con lo stimolare la domanda di abitazioni alimentandone ulteriormente i relativi prezzi.

Gli effetti di questa prassi

Questi mutui – erogati dai fondi immobiliari – anche se rispettavano le condizioni imposte dal mercato americano di un anticipo pari al 20%, erano generati in maniera tale da sovvenzionare il 100% del valore della casa, Ma nella maggior parte dei casi il finanziamento arrivava al 110 per cento per includere, come detto, l’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici. Si trattava di prestiti concessi a soggetti con una limitata capacità di rimborso (titoli per questo chiamati subprime), che quindi comportavano un elevato rischio per il creditore. Ma questo avveniva in un momento di forte crescita della bolla immobiliare e il 110 per cento fece aumentare in maniera esponenziale questi crediti sui quali furono così creati dei titoli negoziabili sui mercati finanziari, che poi i fondi immobiliari cedettero alle banche statunitensi che a loro volta li vendettero alle banche di tutto il mondo e alla fine anche ai privati. In seguito, il crollo della bolla immobiliare – quindi del valore delle case – annullò il valore di questi titoli subprime creando grandi perdite nelle banche di tutto il mondo e fu anche una delle cause della grande crisi finanziaria del 2007. I segnali della crisi risalgono al 2003, quando cominciò ad aumentare in modo significativo l'erogazione di mutui ad alto rischio, ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito poiché non erano in grado di fornire sufficienti garanzie. Nel 2002, un amico economista dell’Ufficio Studi di Bankitalia mi esprimeva il forte timore delle nostre autorità monetarie che questi titoli derivati, o “derivatives”, avrebbero invaso anche il mercato europeo creando un terribile collasso finanziario del sistema bancario. E così fu.

Il caso italiano del superbonus

L’idea di sostenere l’industria edilizia con un bonus che favoriva un aggiornamento energetico dei fabbricati poteva essere buona per aumentare l’occupazione, il Pil, quindi le entrate tributarie. Ma il progetto partì senza nessun controllo. Così i prezzi delle materie necessarie per realizzare i progetti coperti dal superbonus aumentarono enormemente e molti soggetti privati nel 110 per cento inclusero una ristrutturazione completa delle loro abitazioni. Questi mancati controlli finirono per aumentare il costo per lo stato anche attraverso vere e proprie truffe. Il 110 per cento era quindi la “poison pill” che ha portato a una perdita per lo stato che in questi giorni si valuta intorno a 135 miliardi di euro. Se l’incentivo fosse stato dell’80 per cento forse questo non sarebbe avvenuto. I beneficiari del 110 per cento avrebbero dovuto ricevere dallo stato in 10 anni le spese sostenute. Invece quasi sempre i costi furono sostenuti dalle imprese edilizie alle quali il beneficiario del 110 per cento cedeva il credito verso lo stato con uno sconto e, a loro volta, i costruttori li cedettero alle banche con un altro sconto.

Gli esiti del superbonus

Ora i primi consuntivi di tale misura ci dicono che, malgrado la revisione del superbonus varata dal governo attuale, la perdita per lo stato italiano ammonta a circa 135 miliardi di euro, una perdita che assai difficilmente potrà essere coperta dai benefici ottenuti. Una valutazione dei costi e benefici del progetto non è ancora stata fatta ma quello che si può osservare oggi è che ci sono migliaia di cantieri fermi o che procedono a rilento e miliardi di crediti fiscali che non trovano acquirenti diventando così carta straccia per chi li possiede. Infatti le banche hanno smesso di acquistare i crediti derivati dal superbonus anche a seguito delle nuove regole imposte da Bankitalia e dalla Bce. Sono rimaste solo le Poste ma col limite di 50mila euro. Le misure del governo Draghi sono servite solo a limitare le truffe miliardarie che stavano emergendo ma non a frenare le spese.

Per fortuna che, contrariamente a quello che è avvenuto nel mercato americano non è stata fatta una cartolarizzazione dei crediti del 110 per cento, che avrebbe infettato il mercato con titoli soggetti a svalutazione creando perdite non solo sulle banche ma anche sui comuni risparmiatori. Qualcuno la propose ma fu bocciata dai maggiori economisti.

Questi fatti avvengono per l’insipienza e l’impreparazione dei nostri statisti. Gli storici si divertiranno a valutare i danni creati allo stato italiano da Giuseppe Conte e Matteo Salvini. Conte è responsabile non solo del superbonus ma anche della caduta del governo Draghi e, con l’aiuto di Matteo Renzi e Carlo Calenda, della vittoria della destra nelle elezioni del 2022. Salvini per i danni creati dalla sua politica sull’immigrazione, la flat tax, la protezione dei tassisti e dei balneari, i continui ostacoli alle norme europee. Solo per citarne alcuni.

Questi due statisti nostrani ci dicono che la situazione italiana non è molto diversa da quella degli Stati Uniti, capaci solo di proporre presidenti come Donald Trump o Joe Biden. Questa è la vera causa della crisi dell’occidente.

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