Con la fine dello stato di emergenza nazionale da COVID-19 sono venute meno le norme di alcuni decreti che imponevano il rispetto dei protocolli e delle linee guida di sicurezza anti-contagio nello svolgimento delle attività economiche e produttive, prevedendo come sanzione la sospensione dell’attività fino al ripristino di condizioni di sicurezza.

Tra i protocolli da applicare obbligatoriamente c’era quello relativo a misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali il 24 aprile 2020 e aggiornato il 6 aprile 2021.

La fine dello stato di emergenza, con la decadenza di norme vigenti durante tale stato, determina che anche tale protocollo, oltre agli altri adottati a livello nazionale per fronteggiare la pandemia (ad esempio il protocollo per i cantieri e il protocollo nel settore del trasporto e della logistica), non sia più applicabile?

Il protocollo anti-contagio in azienda

Nonostante la fine dello stato di emergenza, continua a sussistere l’equiparazione giuridica tra infezione da COVID-19 e infortunio sul lavoro (d.l. n. 18/2020): la causa virulenta è equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio. Pertanto, il lavoratore che abbia contratto la malattia in occasione di lavoro può beneficiare della copertura assicurativa fornita dall’Inail.

L’imprenditore, a propria volta, può essere oggetto di azioni in sede giudiziaria tese a valutare se abbia adottato ogni misura atta a tutelare la salute del lavoratore.

Inoltre, resta vigente la disposizione (d.l. n. 23/2020) ai sensi della quale, riguardo al rischio di contagio da COVID-19, il datore di lavoro assolve all’obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità dei dipendenti, previsto dal codice civile (art. 2087), mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel citato protocollo governo-parti sociali, nonché degli altri vigenti a livello nazionale.

Dunque, questi protocolli sono lo strumento attraverso il quale il legislatore reputa che i lavoratori siano garantiti dal rischio di contrarre il Sars-CoV-2. Tant’è che, se l’imprenditore li applica puntualmente, è esclusa la sua responsabilità in caso di contagi in azienda, come dispone la legge.

Dunque, i protocolli anti-contagio rimangono applicabili, nonché essenziali, poiché la loro osservanza funziona da esimente per il datore di lavoro, a prescindere dalla loro obbligatorietà, anche dopo la fine lo stato di emergenza e nonostante sia cessata la normativa che ne imponeva l’adozione.

Protocollo da aggiornare

La disposizione che esonera l’imprenditore da responsabilità si basa sull’assunto che le misure precauzionali indicate nei protocolli siano espressione della migliore scienza e tecnologia, e quindi la loro applicazione garantisca la più efficace tutela del lavoratore, senza che l’imprenditore stesso debba adoperarsi per individuare misure ulteriori. In questo modo, viene anche limitata la sfera di discrezionalità dei datori di lavoro, garantendo altresì l’omogeneità delle misure adottate sul territorio nazionale.

Tuttavia, l’esame delle regole contenute nel protocollo governo-parti sociali, da ultimo aggiornato il 6 aprile 2021, come detto, mostra che alcune di esse sono obsolete, in quanto non più rispondenti all’attuale fase della pandemia, o superate dagli eventi oppure in contrasto con altre regole.

Ad esempio, si parla di «ricorso agli ammortizzatori sociali, con la conseguente riduzione o sospensione dell’attività lavorativa»; «massimo utilizzo, ove possibile, della modalità di lavoro agile o da remoto»; preclusione dell’accesso a «chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al virus SARS-CoV-2/COVID-19 o provenga da zone a rischio secondo le indicazioni dell’OMS»; «sanificazione straordinaria degli ambienti» da effettuare «nelle aree geografiche a maggiore endemia»; «preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente secondo le indicazioni dell’Oms»; pulizia e sanificazione periodica di «tastiere, schermi touch e mouse con adeguati detergenti»; limitazione «al minimo indispensabile» degli «spostamenti all’interno del sito aziendale».

Insomma, molte delle indicazioni esemplificate non sono più attuali. Appare palese che il meccanismo in base a cui l’imprenditore è esonerato da responsabilità in caso di contagi se rispetta puntualmente le misure del protocollo, senza dover fare altro, trattandosi dei metodi più efficaci di contrasto al virus, si inceppa a fronte di indicazioni come quelle riportate. In altre parole, per vedere esclusa la propria responsabilità l’imprenditore dovrebbe seguire regole superate.

Si potrebbe sostenere che il datore di lavoro debba applicare solo quelle ancora attuali e aggiornare quelle obsolete. Ma ciò contraddice il fondamento e la finalità del protocollo, vale a dire che esso costituisca un insieme di misure - risultanti dalle migliori e più attuali evidenze scientifiche - che, se adottate puntualmente, dovrebbero garantire la tutela più idonea al lavoratore.

Quindi, ci sarebbe una norma ai sensi della quale basta seguire le regole del protocollo per non incorrere in responsabilità in caso di contagi in azienda, ma di fatto seguirle non basta, perché il datore di lavoro deve valutare quali regole applicare e quali no, discernendo quelle attuali da quelle obsolete, e individuare misure più adeguate e aggiornate rispetto a quelle del protocollo. Una grande confusione.

Dunque, se si vuole che il protocollo rappresenti uno “scudo” per l’imprenditore, ma soprattutto un’efficace difesa contro il Sars-CoV-2, considerato anche il perdurante livello elevato dei contagi, è necessario aggiornarlo. Il rischio è che i dubbi e le incertezze che esso solleva siano destinati a essere risolti nelle aule dei tribunali.

© Riproduzione riservata