C’è un aspetto delle conseguenze della pandemia che non va sottovalutato ma che anzi deve diventare una priorità del governo: l’impatto psicologico e mentale che tutto ciò ha avuto e sta ancora provocando. Vi sono numerose persone che hanno molto sofferto durante il lockdown a causa dell’obbligo di isolamento e ciò può intaccare anche la salute mentale.

Molta gente viveva già da sola ma la solitudine aggiunta dalle regole del social distancing ha aumentato i disagi. Non bisogna dimenticare che la solitudine è sempre una malattia in più, che provoca sofferenze e moltiplica le conseguenze psichiche. Queste ultime si traducono poi in difficoltà materiali  ed esistenziali che possono diventare molto serie.

L’impatto sui fragili è da verificare con attenzione su tutta la popolazione ad iniziare dai fragili, come i disabili, i malati psichici ma anche i Neet (i ragazzi che non studiano e non lavorano), come fa osservare l’edizione di quest’anno del rapporto giovani dell’Istituto Toniolo.

Abbiamo tutti notato il bisogno di sfogo (tradotto tavolva in risse) degli adolescenti a lungo trattenuti dietro le mura di casa. Allo stesso modo si percepiscono le conseguenze della chiusura di stadi e discoteche, luoghi in cui far prorompere tanta energia repressa.

Anche se queste chiusure sono necessarie, occorre fare un’analisi precisa delle conseguenze per capire come porvi creativamente rimedio. Presso la presidenza del Consiglio dovrebbe essere messa in piedi una struttura di missione apposita che coordini nei vari ministeri delle cellule di riflessione e proposta su tale delicata questione. Ciò è necessario per evitare che alla già grave crisi economica si aggiunga quella psico-sociale.

Guardiamo i dati dell’istituto Toniolo: se si sommano assieme i tassi di descolarizzazione e di assenza di formazione universitaria o tecnica, con quelli dell’abbandono del progetto di metter su famiglia, ne risulta un quadro preoccupante per i giovani tra i 18 e i 34 anni.

Il rapporto spiega anche come, con l’emergenza sanitaria, molte donne abbiano contemporaneamente deciso di smettere di cercare lavoro e di tentare di avere un figlio.

Per quanto riguarda gli anziani siamo ancora nel pieno della dialettica tra RSA, case di riposo e cittadini: non ovunque è concesso il diritto di visita ai parenti; quando lo è gli orari sono spesso improbabili (come la mattina quando la gente lavora),  per renderlo de facto impraticabile. Il risultato è l’aumento della solitudine tra gli anziani ospiti, la quale da sola è in grado di ridurre la vita. Un fatto è incontrovertibile: lasciati soli si muore prima.

Infine anche sullo smartworking c’è da fare una riflessione attenta: per molte persone i rapporti interpersonali sul luogo di lavoro sono l’unica forma di relazione e socialità davvero vissute. Iniziare a limitare la presenza può avere come contraccolpo l’acutizzarsi di comportamenti di isolamento, forme psichiche e simili patologie. Per tutto il paese il recovery non deve essere soltanto materiale ma anche relazionale, conviviale e psicologico. 

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