La competizione elettorale e referendaria appena conclusa ha distribuito la vittoria equamente tra i due alleati di governo: le elezioni regionali premia il Pd di Nicola Zingaretti; il Sì al taglio della casta gratifica il Movimento Cinque stelle di Luigi Di Maio. Due vittorie chiare. E aperte a esiti non predeterminati.

La vittoria di Eugenio Giani in Toscana e di Michele Emiliano in Puglia (due regioni a rischio Lega) ha due effetti: stoppa i contendenti (la fronda renziana) alla segreteria del Pd e rafforza il partito nella coalizione di governo.

Tuttavia, non gratifica, anzi punisce, l’idea di un’alleanza organica con i Cinque stelle: è emblematica è la sconfitta di Ferruccio Sansa, candidato unitario, in Liguria.

Del resto, il Movimento si è ben guardato dal sottoscrivere una tale alleanza e ha infatti corso solo in tutte le altre regioni, con risultati disastrosi.

Nato per stare oltre la destra e la sinistra, un patto organico con un alleato non rientra nel suo carattere, che è geneticamente antipartitico, ovvero aperto a tutte le opportunità. Ora, un Pd più forte può generare malumori nell’alleato indebolito.

Nello stesso tempo, questa debolezza può agevolare la tenuta del governo perché i pentastellati sanno di non potersi permettere elezioni anticipate. Tutto bene, dunque?

Non proprio. E qui entra in campo la vittoria referendaria del Sì. Oggi Di Maio festeggia, e ha ragione di farlo, perché la sforbiciata delle poltrone è l’icona che ha accompagnato la marcia trionfale sua e del Movimento a Palazzo Chigi.

Il taglio su cui si è votato, confezionato con disarmante semplicismo, è targato Cinque stelle.

Nonostante il richiamo del Partito democratico a passate proposte di riforma, prima d’ora la riduzione del numero dei parlamentari è stata sempre inserita in progetti di revisione comprensiva del testo costituzionale.

Per la prima volta abbiamo oggi una traduzione in voti di uno slogan populista: contro l’establishment, contro la casta. E adesso?

Finiti i festeggiamenti, il Movimento Cinque stelle di Di Maio si troverà in una situazione non invidiabile. Le regionali hanno confermato il suo declino inarrestabile e, quel che è peggio, la vittoria del Sì ci darà un parlamento dove i partiti piccoli avranno meno influenza e voce."

Il paradosso è che la vittoria di oggi potrebbe tradursi in una punizione domani.

Gestire questa vittoria non sarà facile per Di Maio, che anche privo della carica formale di capo politico resta un uomo solo al comando del Movimento dentro le istituzioni. In questo frangente potrebbe emergere sia la stoffa del leader sia la sua inadeguatezza.

Per trarre beneficio da questa vittoria populista, Di Maio dovrebbe sfoderare quell’arte politica che poco garba al suo movimento, cioè avviare trattative con il Pd e le altre forze politiche per fare di questo taglio delle poltrone una vera riforma tesa a ottenere una legge elettorale che cessi di umiliare gli elettori con liste bloccate e che non sacrifichi il pluralismo dei partiti; la garanzia del principio di equa rappresentanza in tutte le regioni del paese; il riordino del rapporto tra senatori e rappresentanti delle regioni per l’elezione del presidente della Repubblica; il varo di nuovi regolamenti parlamentati che tra l’altro ridisegnino le commissioni.

Un Parlamento così ridotto dovrebbe impegnare i vincitori e il loro sostenitori in una progettualità politica importante.

Più che una vittoria, il Sì è una porta aperta esiti diversi. Speriamo che i protagonisti del taglio sappiano confezionare un abito di ottima fattura alla nostra democrazia.

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