Essendo insegnante domenica 28 febbraio, alle nove e un quarto di mattina, anch’io ho fatto il vaccino AstraZeneca. In quel momento avevo esattamente cinquantacinque anni e otto mesi. Il martedì precedente, via mail, la mia medica di base mi aveva avvertito che la regione Emilia-Romagna così aveva disposto: che le vaccinazioni agli insegnanti le avrebbero fatte i medici di base e quindi lei mi avrebbe contattato non appena le avrebbero inviato le dosi di vaccino. Io le avevo chiesto: mi fai AstraZeneca? Lei mi aveva risposto di sì. Io le avevo detto: anche se ho già cinquantacinque anni, che dicevano che dai cinquantacinque in su non andava bene? Lei mi ha detto che era stato appena validato anche dai cinquantacinque ai sessantacinque, quindi c’era da stare tranquilli. Io allora ho detto va bene perché della mia medica di base ho sempre avuto piena fiducia, quindi ho chiesto: quando lo facciamo? Di quello non ne ho la minima idea perché ho chiesto quando ci mandavano le dosi e mi hanno risposto che non lo sapevano. Va bene, ok, ciao.

Così finiva questa telefonata che faceva presumere un prima o poi, quindici giorni, venti giorni, chissà. E invece, con grande solerzia, la regione inviava le dosi già tre giorni dopo e ricevevo quindi una mail che mi avvertiva che mi sarei vaccinato la domenica seguente, alle nove di mattina, e di confermare se mi andava bene e se garantivo di esserci perché non bisognava rischiare di buttar via neanche una dose del vaccino, e io confermavo.

I desideri e la realtà

Giravano voci tra colleghi, di cui forse la fonte erano i colleghi di altre regioni ancor più solerti, quindi già vaccinati, che in seguito alla vaccinazione si patissero febbri, tremori, mal di testa, dolori ossei, vomiti e diarree della durata di due o tre giorni. Ecco che quindi io subito iniziavo a immaginarmi e forse anche in un certo senso a desiderare questi due o tre giorni di febbrina a trentasette e sei che mi sarei subito giocato come malattia, e avrei passato in casa bevendo tè caldo coi biscotti, in poltrona con una bella copertina addosso, mentre mi guardavo qualche serie tv e mi facevo la settimana enigmistica. Due bei giorni di pausa e riposo nel mezzo di questo regime di cose un po’ stressante. Ma come sempre succede, tra i desideri e la realtà ci sono terribili biforcazioni, il desiderio va di qua, la realtà va di là. Fatto il vaccino non mi succedeva assolutamente niente di niente (per precauzione avevo chiesto alla mia medica nel caso che mi fosse venuto mal di testa, se avrei potuto farmi un Aulin, mi aveva detto puoi tranquillamente).

Ero andato a fare il vaccino con una mia collega che sperava di non avere immediati effetti collaterali (a differenza di me che ci speravo) perché doveva fare due verifiche già programmate nei giorni seguenti, e se non fosse riuscita a farle sarebbe stato qualcosa di irreparabile, e lei già verso la metà del pomeriggio iniziava ad avere i primi brividi. Alle otto di sera la mia collega mi avvertiva che aveva già trentasette e otto e mi chiedeva come stavo. Io continuavo a stare perfettamente. Per scrupolo mi misuravo la febbre ma già lo sapevo, avevo trentasei e cinque, come se non mi fossi neanche vaccinato. Anche il giorno dopo continuavo a stare perfettamente, quindi facevo videolezione due ore da casa, poi mi recavo a scuola a fare due ore in presenza, godendo purtroppo sempre di ottima salute.

Senza effetti collaterali

I miei desiderati due giorni di malattia erano svaporati. Agli studenti non l’avevo detto che ero già stato vaccinato. Passavano i giorni, la scuola chiudeva, finivamo già dal giovedì tutti in didattica a distanza (dad). Passavano altri giorni e per come si sono evolute le cose, ieri, dopo aver ascoltato le ultime notizie, durante la dad gli studenti mi fanno: ma prof, ma lei si è vaccinato? Io dico sì.

E con cosa si è vaccinato? Con AstraZeneca? Dico sì. E come sta? Mi sembra di esser vivo, gli dico, io vi vedo. Voi mi vedete? Sì, dicono loro. Allora secondo me dovrei esser vivo, dico io. Ma è sicuro di star bene? Mi dicono. Mi sembra di sì. Poi gli ho detto: facciamo così, se di colpo mi vedete fare una faccia strana e scompaio dallo schermo, e poi sentite un gran tum come di uno che è caduto per terra, e non mi vedete più per un minuto, telefonate al 118, ok? Loro hanno detto: va bene, ma lei prof dove abita? Ugo Cornia, via Giardini xy, gli ho detto. Dopo, due o tre volte, mentre spiegavo mi veniva in mente di cadere per terra per scherzo e stare a sentire che cosa facevano.

 

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