La democrazia (rappresentativa) è una cosa per vecchi? Viene da chiederselo riflettendo sul dato eclatante delle elezioni francesi di domenica scorsa, quando sette elettori su dieci d’età tra i 18 e i 24, e poco meno tra i 25 e i 34, hanno scelto l’astensione. Ma le urne sempre più deserte preoccupano anche dalle nostre parti, con i più giovani che guidano la mozione del non voto, anche se con percentuali fino ad ora meno clamorose.

Fino ad ora, dicevo. Perché l’ultimo dramma a cui abbiamo dovuto assistere, la crisi conclamata del Movimento cinque stelle, con la nuova e definitiva spaccatura dell’ormai ex primo partito del paese, dovrebbe impensierire chi teme l’allontanarsi dei giovani dalla politica.

Negli ultimi dieci anni, il Movimento fondato da Beppe Grillo ha mostrato un’inequivocabile forza d’attrazione sulla fascia degli under 25, che l’hanno preferito nettamente alle altre forze politiche sia nel 2018 sia nel 2013. E ora? Ora che l’unico partito che si è mostrato capace di animare tra i giovani una speranza di cambiamento per via rappresentativa si avvia verso percentuali di consenso a una cifra, e i suoi frammenti fluttuano nell’arco parlamentare adottando strategie di sopravvivenza da vecchissima politica, che ne sarà di questo capitale di fiducia?

La fiducia tra elettori ed eletti è un rapporto complicato e fragile, sempre più difficile da costruire in tempi di volatilità dei comportamenti di voto, e sempre più facile a incrinarsi, specialmente quando alimentato da promesse che leader e partiti non sono in grado di mantenere. Esiste però una condizione necessaria alla sua base, ed è l’esercizio di responsabilità degli eletti verso gli elettori.

È la responsabilità, l’impegno a rispondere di qualcosa e a qualcuno, a raccogliere e conservare il tesoro di fiducia riposto nelle proprie mani, che nella concezione moderna della democrazia rende i rappresentanti del “popolo” dei soggetti al tempo stesso autonomi e vincolati: vincolati non solo (legalmente) dai limiti costituzionali all’uso del potere, ma anche (politicamente) dal dovere di tener fede alle promesse e di farsi carico delle conseguenze del proprio agire.

Chi parla ai giovani ora?

Difficile quindi girarci intorno: la crisi del Movimento 5 Stelle viene dalle promesse tradite verso l’elettorato, dalla deriva oligarchica al suo interno, dal completo esaurimento della capacità di innovazione politica nel corso di tre diversi esperimenti di governo. Ma la sua fine apre una fase nuova che dovrebbe suscitare la massima preoccupazione.

Non lazzi e motteggi, o il «torniamo a occuparci dei temi che interessano agli italiani» con cui Matteo Renzi crede di poter mettere una pietra tombale su questa stagione. Come ha scritto Mario Giro su questo giornale, lo sfarinamento del panorama politico nazionale non porta bene a nessuno: la «saggezza del cittadino elettore» non premia gli scissionisti, ma risponde con l’astensione.

Il rischio di un’astensione di massa, specialmente tra i giovani, sembra ora incombere come il pericolo più grande per la tenuta delle democrazie che, come sostengono i politologi Steven Levitsky e Daniel Ziblatt, oggi «muoiono» non con violente azioni militari o rivoluzionarie, ma «per via elettorale». Muoiono perché salgono al potere leader con tendenze autoritarie, nell’indifferenza di gran parte del demos.

I giovani non sono però solo elettori blasé, annoiati o disgustati dallo spettacolo poco decente del moltiplicarsi delle sigle vuote di progettualità. Le ricerche mostrano un’abitudine alla partecipazione politica che privilegia altri canali e forme di partecipazione, meno convenzionali. Soprattutto, un interesse spiccato per temi che restano al margine dell’agenda del governo e del parlamento: dalla giustizia climatica ai diritti civili.

È la politica dei partiti a non rappresentare più un orizzonte di riferimento. Come afferma il sociologo Stefano Laffi, intervistato nel libro di Angelo Miotto, Produci consuma crepa (Altreconomia), i giovani «si sentono nel vuoto, nell’assenza di trama, di progetto, di visione, di cornice». Proprio quella cornice di lettura della realtà e quella visione delle possibilità di trasformazione del presente che i partiti hanno smesso quasi del tutto di offrire.

Nessuna forza politica seriamente interessata al progetto democratico può allora ballare oggi sulle rovine della caduta del “populismo”.

Perché dopo il Movimento 5 Stelle resta un vuoto di risposte, persino di domande. E si annunciano pericoli che possiamo solo cominciare a immaginare.   

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