Giuseppe Conte parlava moltissimo senza dire quasi nulla, Mario Draghi finora non ha praticamente pronunciato verbo, anche se cortigiani ed esegeti del palazzo gli hanno attribuito dichiarazioni, pensieri, tattiche e strategie. Non sappiamo come ha scelto i ministri, e neppure che mandato ha affidato loro.

Ma oggi Draghi parlerà da premier per la prima volta, in Senato, e qualche elemento in più lo offrirà. Il bilancio di questi primi giorni di silenzio aiuta a capire quali saranno le dinamiche di questo strano “governo omnibus”, come lo ha definito Nadia Urbinati.

Primo: in politica il vuoto non esiste, il silenzio di Draghi viene riempito dalla cacofonia dei partiti della coalizione. Matteo Salvini già parla e straparla, evoca ponti sullo stretto di Messina, ha fatto baluginare condoni fiscali e linee rigoriste sui migranti; alcuni ministri già danno interviste in giro, senza nulla da annunciare, peraltro.

Lodevole il tentativo di lasciar parlare i fatti, ma la loro voce deve sovrastare quella di politici abituati a vivere in un flusso di dichiarazioni e polemiche costante, tanto più rumoroso quanto meno denso di contenuto. Invece mai come in questo momento storico c’è bisogno di spiegare, di parlare non per trasmettere opinioni ma per dare elementi al dibattito.

Di ascoltare l’opinione di Walter Ricciardi, per esempio, non se ne può più. Ma di dati e interpretazioni che spieghino i rischi della fase attuale c’è invece un gran bisogno. Cancellare definitivamente la stagione sciistica, per esempio, è una scelta inevitabile ma è stata presa senza dare agli imprenditori del settore alcun preavviso e neppure alcuna motivazione argomentata.

Anche le scelte sulla campagna vaccinale andranno spiegate – quando sarò vaccinato? Perché un ottantenne viene protetto prima in una regione che in un’altra? – e così quelle sul Recovery Fund, visto che si è affermata la pericolosa idea che, per la prima volta, ci sono risorse illimitate e nessuna spesa è uno spreco.

Gli elettori non sono diversi dagli operatori dei mercati cui Draghi si è rivolto negli ultimi otto anni: formano le proprie aspettative sulla base degli elementi forniti e di una serie di elementi non razionali ma emotivi che spetta a comunicatore dosare. Sulla base di quelle aspettative prendono decisioni, non soltanto economiche.

Dalla Bce Draghi ha saputo trovare un linguaggio per guidare i mercati, fatto di un misto di estrema onestà e manipolazione. Dovrà fare lo stesso da premier, a lui certe opacità tipiche del governo Conte non saranno perdonate: gli annunci stentorei e fumosi, i Consigli dei ministri notturni, i provvedimenti anticipati alla stampa per testare la reazione dell’opinione pubblica prima di adottarli, l’oscillazione continua nella pandemia (“facciamo questo perché lo dicono gli scienziati”, “facciamo quest’altro perché c’è il primato della politica sugli esperti”).

Ecco, se Draghi imporrà un altro stile e stringerà con gli elettori un patto più onesto e maturo avrà già fatto molto per salvare dal collasso quel sistema politico morente che lo ha invocato.

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