Il messaggio di fine anno del presidente della Repubblica è un manifesto che si rivolge al paese, per i problemi del futuro e le novità che emergeranno nel nuovo. Si innalza molto nel tono, nella riflessione, e trascura qualsiasi giudizio sull’attuale conduzione della vita istituzionale del paese. Questo è un primo passaggio importante da capire. Perché trascura ogni immersione nelle attività e nelle prestazioni di governo?

Il presidente ha fatto una constatazione che per un analista potrebbe essere ovvia ma per la generalità del paese va squadernata nella sua drammaticità: oggi alla guida del paese c’è una manciata, un grappolo di ministri, ma non un governo. Non c’è: nella democrazia parlamentare, regolata dalla Carta costituzionale, il governo diventa tale quando riceve la fiducia su una mozione motivata, con paletti invalicabili che danno poco spazio alle mediazioni in corso d’opera, perché il programma deve avere una sua omogeneità e organicità, e deve essere condotto con un esercizio democratico partecipativo. Il presidente ha fatto questo preciso richiamo.

I due nazionalpopulismi

Noi invece abbiamo un governo formale sorretto da forze politiche che hanno contrasti radicali fra di loro, sia nel presente che sulla prospettiva futura: in politica estera, in quella economica, nella stessa tendenza ispiratrice del nazionalpopulismo antieuropeista, che si è andata opportunisticamente appena stemperando; ma nel sottofondo le tendenze alla divaricazione per il futuro restano forti.

Noi abbiamo quindi – e lo si è visto sul Mes – un governo mantenuto in piedi da maggioranze diverse. Un inedito: più governi, più ispirazioni in un solo governo. Il che porta all’impossibilità del funzionamento delle istituzioni, e a una divaricazione nei rapporti con la presidenza della Repubblica, e al fatto che il presidente è contemporaneamente arbitro ma anche interventore in situazioni particolarmente delicate, e costituzionalmente definite, come quando deve presiedere il consiglio supremo di Difesa e il Csm. In quelle sedi il presidente quale governo ha di fronte?

L’opposto di partecipare

Non è casuale il riferimento alla carica di odio che le guerre vicine a noi stanno iniettando nel clima politico, al lungo periodo che abbiamo dinanzi per lo smaltimento di questo odio, risolvibile non attraverso tregue formali e provvisorie ma con la costruzione di una «cultura di pace», un processo di lunga formazione, che ha bisogno di unità di coscienze individuali e collettive nelle istituzioni. Che è ciò che il presidente ha richiamato quando ha sottolineato il distacco delle nuove generazioni verso la politica e la cultura della democrazia che si nutre di atti di verifica quotidiana. La democrazia non è solo un aggancio ai valori costituzionali: Mattarella usa il verbo «riconoscere» e spiega che i valori fondativi sono precedenti alla Carta, quindi sono una base naturale, invalicabile. Chiede alle nuove generazioni di partecipare: ed è l’opposto di quello che fa il governo, che chiede invece potere accentrato per decidere in forme sempre più solitarie, individuali e autoritarie.

Il fatto che non c’è una maggioranza stabile politica nel paese ma una pluralità di maggioranze di governo è il sintomo di una crisi delle istituzioni che può essere aggravata anche da soluzioni tecnico-innovative: qui il riferimento è all’intelligenza artificiale: rischiamo che a una ignoranza dei più risponda un intervento regolatore di fonte ignota, molteplice, non individuabile, che introduce un elemento di impoverimento ulteriore della umanità che si va spegnendo.

Evitare l’inutile recita

Il messaggio del Colle rende inutile la conferenza stampa della presidente del Consiglio. Inutile, superflua: servirebbe solo a misurare una polemica sotterranea con il Colle. E non è una polemica che il presidente della Repubblica ha voluto sollevare: è la decadenza che ha dovuto segnalare.

Meloni abbia la decenza di non compiere questa inutile recita. Se lo farà, la domanda principale che i giornalisti dovrebbero rivolgerle è: come si risolve, come si riconduce alla vita democratica del paese l’inedita situazione di senza governo e di una pluralità di indirizzi di governo nel non governo?

L’appello del presidente è a una presa di coscienza del paese della crisi culturale e politica, giunta ormai a un punto terminale dopo trent’anni della sottocultura in base alla quale la politica sarebbe un elemento dannoso alle decisione; e che in definitiva si può tirare a campare con un po’ di vincolo estero, un po’ di buona fortuna e un po’ di operosa trasformazione delle istituzioni in botteghe, quando non in luoghi tenebrosi. Oggi c’è la sveglia.

Le guerre portano alla destabilizzazione globale, le conseguenze si sentiranno a partire dalle aree più fragili del paese. Non si può andare oltre. Non si risolve con la demagogia sui più deboli, ma affrontando alla radice il superamento del nazional-sovranisti con la creazione di strutture politiche sovranazionali decidenti che possano reggere l’urto di un uso di nuove tecnologie che può ulteriormente disumanizzare la società. Il messaggio del presidente è al paese. Non poteva rivolgersi al governo che non c’è, quel che c’è sono tanti governi in un finto governo.

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