La cascata di commenti entusiastici per i recenti meeting dei G7 e della Nato rischia di far perdere di vista alcuni gravi e persistenti problemi che affliggono tanto le democrazie occidentali quanto l’alleanza militare del Patto atlantico. Anche se abbiamo salutato con un enorme sospiro di sollievo la vittoria, sofferta, di Joe Biden alle elezioni americane, non possiamo altresì dimenticare cosa è successo nei mesi precedenti e successivi alla competizione elettorale, fino all’apice dell’assalto a Capitol Hill.

Le democrazie sono ancora sotto stress ovunque, il test finale della loro resistenza verrà dalle elezioni francesi dell’anno prossimo e da quelle italiane, paesi nei quali partiti che coabitano nello stesso gruppo estremista al parlamento europeo hanno buone possibilità di vincere. E poi vedremo cosa succederà nelle altre nazioni in mano a governi “autocratizzanti” come Polonia e Ungheria: ritroveranno la retta via democratica o si inclineranno verso una deriva turco-russa?

Il sentimento antipolitico e antipartitico in Occidente non è scomparso. Tuttavia la presidenza Biden ha innalzato il  sistema e i valori democratici a vessillo delle nazioni del G7, in contrapposizione ai regimi autoritari. E finalmente, dopo le porte aperte degli anni Novanta, ha riconosciuto nella Cina il vero avversario strategico, relegando implicitamente la Russia a problema regionale. Del resto, un paese con nemmeno 150 milioni abitanti e un Pil che non lo colloca nemmeno nei i primi 10, potrà creare tensioni regionali e “nel cortile di casa”, o al limite nel Mediterraneo, ma niente di più. Del tutto diversa la sfida della Cina per le sue dimensioni, la sua economia e la sua crescente assertivita sul piano internazionale.

Di fronte a questo scenario  l’America ha riproposto una politica estera fondata sui valori. L’insistenza su questo aspetto non riesce però a celare che esistono anche interessi e convenienze tattiche che, inevitabilmente, ottundono l’enfasi  sui grandi principi. La riunione Nato dell'altro giorno ha dato una prova plastica di come le dichiarazioni ufficiali possano essere contraddette dalla pratica.

La presenza nell’alleanza atlantica di paesi di problematica democrazia, e persino “dittatoriali” secondo la definizione di Mario Draghi, come la Turchia, indebolisce la narrazione proposta da Joe Biden. Quando si fa finta di nulla sulla torsione illiberale e autoritaria di Recep Tayyp Erdogan  e non si richiede nemmeno un gesto simbolico come la liberazione di giornalisti, intellettuali e politici critichi - come  giustamente si pretende dalla Russia e dalla Cina - crolla la visione della Nato come alleanza a difesa della democrazia.

Un dittatore - se così si considera Erdogan -  non può sedersi accanto a leader democratici.  Va emarginato e messo al bando. Se poi, come sostiene il nostro presidente del consiglio, la Turchia costituisce un partner affidabile, allora lasciamo perdere i grandi proclami.  Ed evitiamo gaffes.

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