Il sistema dei partiti continua a usare Mario Draghi come alibi: prima la scusa per prendere tempo e non affrontare i problemi strategici era l’elezione del presidente della Repubblica e il possibile trasloco del premier da palazzo Chigi al Quirinale.

Adesso è già cominciato il chiacchiericcio sul futuro di Draghi dopo le elezioni 2023, con la melassa di partiti centristi che – in assenza di elettori propri – cerca di darsi un’identità presentandosi come il “partito di Draghi”, con un uso forse abusivo e sicuramente eccessivo del nome del premier.

Lo schema è chiaro: giustificare una riforma proporzionale della legge elettorale che impedisca agli elettori di avere la più vaga idea di cosa faranno poi i rappresentanti eletti e con chi si alleeranno, magari con soglie di sbarramento così basse da far entrare in parlamento perfino i rimasugli di Italia viva. «Tranquilli, sembra un gran caos, ma è un caos necessario per tenere Draghi a palazzo Chigi», dicono i centrini.

Sembra la ricetta per il disastro e per questo Draghi ha già provato a chiudere la discussione che, c’è da scommettere, invece continuerà: «Escludo un mio impegno politico nel 2023», ha detto in conferenza stampa.

Il contesto macroeconomico impone di fare scelte drastiche adesso, per evitare che inflazione, scarsa capacità amministrativa nello spendere i fondi europei e stretta monetaria delle banche centrali strozzino la ripresa e condannino l’Italia a una crisi finanziaria modello 2011.

Dopo aver rinviato riforme e decisioni impopolari al 2022 per scavallare il voto sul Quirinale, ora non si può prendere tempo in attesa di nuovi equilibri nel 2023.

Solo con la forza di un mandato limitato e ben perimetrato, libero da ogni sospetto di tatticismi, Draghi può provare a piegare la resistenza di un sistema dei partiti che è strutturalmente avverso a ogni riforma e che sta condannando il paese al declino irreversibile.

Ha pochi mesi per fare quello che il governo non è riuscito a fare nel 2021, raddrizzare la rotta e mettere in sicurezza il paese con misure strutturali (come quelle che regolano i passaggi tra politica e magistratura): basta stati di emergenza, ristori, spesa corrente evitabile o sprechi come il superbonus edilizio.

Draghi ha 74 anni, è un “nonno al servizio delle istituzioni”, può essere prezioso per il paese ancora a lungo. Potrebbe per esempio essere un perfetto ministro dell’Economia nella prossima legislatura, capace di garantire la credibilità di qualunque governo, secondo uno spirito di servizio che fu proprio del suo maestro Carlo Azeglio Ciampi (premier tra 1993 e 1994 e poi al ministero tra 1998 e 1999, prima di andare al Colle).

Ma ora serve che faccia il premier con la forza e la radicalità che soltanto chi non ha un futuro da programmare può avere. I partiti si prendano le loro responsabilità, il momento di sostenere il metodo e l’agenda Draghi è adesso, non nel 2023.

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