- Da “ce lo chiede l’Europa” ai “pugni sbattuti sul tavolo europeo”, il nostro paese mostra da sempre di non aver chiara la natura al contempo cooperativa e competitiva dell’integrazione europea.
- Da decenni tendiamo a preservare l’esistente, anche quando si tratta di aziende e settori in declino strutturale. Non siamo stati puniti dall’euro quanto dai limiti europei agli aiuti di stato.
- Vittimismo e protezionismo non sono la risposta adattiva al contesto europeo e globale: Mario Draghi potrà al più rallentare una tendenza autolesionistica che pare appartenere alla stragrande maggioranza del nostro elettorato.
Mentre i partiti si stringono a coorte di Mario Draghi in quello che appare in alcuni casi un voltafaccia da treccartari di strada, e in attesa di leggere il programma dell’ex presidente della Bce per valutarne ampiezza e profondità e comprendere quali e quanti rospi i partiti dovranno a turno baciare o ingerire, è utile alzare lo sguardo sulla prospettiva “europea” del nostro paese, quella sorta di parola magica grandemente fraintesa e utilizzata come una clava o un passepartout da una classe



