Nel decreto legge che ha previsto l’operatività dell’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro dal 15 ottobre era stata preannunciata l’emanazione linee guida, per definire le modalità organizzative delle verifiche nel settore pubblico, da adottare con decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e della salute. La bozza di tali linee guida solleva alcune perplessità. Può essere utile trattarne, data l’imminente scadenza di metà mese.

Certificazioni e smart working

L’accesso dei lavoratori presso la sede di servizio, con esclusione di quelli esclusi dalla campagna vaccinale – afferma la bozza di Dpcm - non è consentito «in alcun modo e per alcun motivo» in mancanza di green pass, ottenuto a seguito di vaccinazione, tampone negativo oppure guarigione da Covid. La previsione pare in linea con il citato decreto-legge, che sancisce l’obbligo di «possedere e di esibire» la certificazione «ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro», per garantire condizioni di sicurezza.

Tuttavia, le linee guida vanno oltre, precisando che non è consentito, «in quanto elusivo del predetto obbligo, individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione». Il senso è chiaro: il lavoro a distanza non è giustificato per chi è privo di green pass.

Ma il dipendente potrebbe aver ottenuto la certificazione con tamponi fino a quando gli è stato concesso lo smart working, restandone privo subito dopo, e questo comportamento potrebbe configurare comunque quell’elusione che si vuole scongiurare. Non ci si spinge a pensare che ciò implichi controlli del green pass di chi lavora a distanza, ma va pure detto che il decreto-legge parla di “possesso” - oltre che di “esibizione su richiesta” - della certificazione, quasi a voler sancire una disponibilità continuativa della stessa.

Certificazioni per i “visitatori”

Nella bozza di linee guida si afferma che, a parte chi è esentato dalla vaccinazione, «l’unica categoria di soggetti esclusa dall’obbligo di esibire il green pass per accedere agli uffici pubblici è quella degli utenti, ovvero di coloro i quali si recano in un ufficio pubblico per l’erogazione del servizio che l’amministrazione è tenuta a prestare».

Invece, l’obbligo vale per «i visitatori» che vi accedano «a qualunque titolo». L’espressione vaga potrebbe indurre a pensare che le linee guida vadano oltre il disposto del decreto-legge, che invece limita l’obbligo di pass a carico del personale, nonché di tutti «i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato».

I controlli

Il decreto-legge individua nel datore di lavoro - il dirigente amministrativo apicale di ciascuna amministrazione o soggetto equivalente, secondo quanto precisano le linee guida – colui il quale è preposto al controllo delle certificazioni, e precisa che egli «può delegare la predetta funzione – con atto scritto - a specifico personale, preferibilmente con qualifica dirigenziale, ove presenti». Dunque, la delega ai controlli – salvo mancanza di dirigenti – non andrebbe conferita a soggetti con qualifiche inferiori. Ciò comporterà la conseguenza che persone con incarichi rilevanti, quali sono quelli dirigenziali, dovranno impiegare tempo prezioso, anche perché ben retribuito, della giornata lavorativa facendo verifiche che di norma competono ad addetti alla reception o alla vigilanza. Peraltro, la disposizione sembra rispondere a una visione del dirigente che – oltre a programmare, gestire e supervisionare l’attività della propria struttura - debba tenere sotto controllo anche “materialmente” i sottoposti.

Nel caso in cui il dipendente dell’amministrazione pubblica comunichi di non essere in possesso della certificazione verde è considerato assente ingiustificato, dice il decreto-legge. La bozza di linee guida aggiunge che ciò «non fa venir meno l’obbligo di effettuare i controlli all’accesso o quelli a campione, tenuto conto che, in ogni caso, il possesso del green pass non è, a legislazione vigente, oggetto di autocertificazione». Questo significa che, al di là delle comunicazioni dei dipendenti circa il proprio “green pass”, il datore di lavoro è comunque tenuto al rispetto del piano di controlli previsto. Al riguardo, per il settore privato, in un documento sul tema del “green pass” elaborato da Confindustria si afferma che «sembrerebbe consentito al datore di lavoro di richiedere al lavoratore di comunicare preventivamente, con riferimento a uno specifico periodo di interesse (…), se non sarà in possesso della certificazione». Di questa eventualità non si parla nella bozza di Dpcm per il settore pubblico.

La bozza pare, poi, disporre un’alternativa tra controlli all’accesso e controlli a campione da effettuare in un momento successivo all’accesso, mentre ai sensi del decreto-legge questi ultimi potrebbero essere effettuati anche all’entrata. Sarebbe stato meglio che anche le linee guida fossero orientate a una maggiore flessibilità, data la varietà di situazioni lavorative esistenti nelle pubbliche amministrazioni.

La bozza di Dpcm precisa poi che le verifiche a campione circa il possesso del green pass del personale dovranno riguardare una «percentuale non inferiore al 30 per cento di quello presente in servizio, assicurando che tale controllo sia effettuato, nel tempo, in maniera omogenea con un criterio di rotazione, su tutto il personale dipendente e, prioritariamente nella fascia antimeridiana della giornata lavorativa».

Dopo l’emanazione del decreto-legge ci si era chiesti a quali parametri - in primis la frequenza – andassero improntati i controlli a campione, al fine di evitare che al datore di lavoro fossero addebitabili accertamenti insufficienti. Le linee guida forniscono criteri cui si reputa che potranno conformarsi anche i privati, per i quali – a differenza del settore pubblico - non sono previste indicazioni fornite a livello centrale.

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