Nell’ultima settimana sono successe due cose che danno il senso delle potenze che segnano la sovranità simbolica statunitense. È stato eletto papa un americano di Chicago e l’azienda di Musk cade a picco. Il primo evento ha tanto potere da contenere i commenti del presidente americano, che vorrebbe essere tanto tranchant quanto Bannon. Ma Trump non può, perché la sua constituency cattolica conta molto. Il secondo evento mette in luce la potenza democratica del mercato
La vita è imprevedibile. E l’imprevedibilità è temuta soprattutto da chi crede di dominare il corso delle cose presenti e future. I tiranni in erba (wonnabe tyrants) si svegliano con qualche problema e devono fare i conti con una realtà che non possono controllare completamente. Nell’ultima settimana sono successe due cose a modo loro rivoluzionarie, che danno il senso delle due potenze che segnano la sovranità simbolica statunitense, Dio e il Dollaro.
È stato eletto papa un americano di Chicago e Tesla cade a picco. Il primo evento ha tanto potere da contenere i commenti di Donald Trump, che vorrebbe essere tanto tranchant di quelli del suo ex-braccio destro Steven Bannon. Ma Trump non può, perché la sua constituency cattolica conta molto e, soprattutto, se forzata a scegliere, sceglie Roma. Il secondo evento mette in luce la potenza ‘democratica’ del mercato.
«Il presidente Trump non è più l'americano più importante al mondo», scrive David French sul New York Times. Un cattolico agostiniano (una denominazione che dice molto negli Stati Uniti, dove l'etica della responsabilità individuale e della severa quotidiana lotta per perfezionare la propria fede e se stessi fanno parte della formazione civile, non solo religiosa) che ha o potrebbe avere la capacità di contenere la grande espansione delle chiese evangeliche, che con “la politica della croce” hanno fatto proseliti tra molti bianchi impoveriti o, semplicemente, convinti di essere emarginati.
Agli evangelici si deve la reazione manichea contro la cultura “liberal” dei democratici e la secolarizzazione dei valori. Si vedrà presto quanto il convertito cattolico JD Vance (nazionalizzato cattolico, non cattolico dalla nascita, verrebbe da dire applicando a lui quella tremenda dissociazione tra “diventare” ed “essere” americani di cui si serve per attaccare lo ius soli) si sentirà libero di sbandierare il suo cristianesimo che non conosce l’umanità ma solo i suoi vicini di casa.
Se avere il papa in casa renderà il wannabe God meno divino, il quasi-fallimento della Tesla renderà meno intoccabile il magnate del tecnocapitalismo e uomo più ricco del mondo, Elon Musk. L’essere il più ricco lo ha santificato presso tutte le destre del globo, straccione e vanitose abbastanza da portarlo ai loro raduni di paese come un guerriero simbolo – un tempo il gagliardetto, oggi la motosega. Questo signore più ricco ha incontrato il mercato che, nonostante i baluginanti messaggi pubblicitari, dipende comunque dalla volontà di chi deve tirar fuori il portafogli.
L’antipatia destata da questo razzista che magnifica il Sud Africa dell’apartheid e fa partire dalla liberazione di Nelson Mandela la fine dalla libertà in quel paese (da cui è emigrato) ha avuto effetti straordinari sui mercati. La disobbedienza del mercato vale quanto la disobbedienza civile. E produce effetti certi e quantificabili. Parlare e scrivere sono strumenti di formazione delle opinioni.
Ma la prova che le opinioni non siano mero sermone deve essere certificata da numeri. I voti politici sono una prova. Come lo sono i denari e i mercati. Comprare o non comprare Tesla ha avuto lo stesso significato di un voto globale contro l’uomo più ricco del mondo, il più razzista e anti-democratico.
Appena si è insediata l’amministrazione Trump II e si è messo in azione il dipartimento-non dipartimento, DOGE, ideato e guidato da Musk, si è verificato un calo di vendite inarrestabile di Tesla, con punte del 50% in Europa e fino al 60% in California. Gli esperti di marketing associano questa caduta in picchiata a difetti di fabbrica e a difficoltà di rivendere il prodotto.
Ma le ragioni tecniche si incontrano con la straordinaria pubblicità negativa globale associata al volto di Musk. Fattori di design e di fabbricazione insieme al prezzo elevato e al deprezzamento elevato e alla protervia dell’uomo più ricco del mondo = tempesta perfetta. Fine del gioco. Ed è davvero tanto per colui che si è presentato a Washington con il motto “qui non si costruisce” ma si spreca denaro.
Cancellati interi programmi federali dall’oggi al domani. Lui, che ha costruito male, paga come è giusto che sia. E siccome deve restare l’uomo più ricco del mondo, per non fare la fine della Tesla lascia DOGE e ritorna a Silicon Valley, a fare il costruttore.
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