Il governo Meloni ha rispettato la promessa, pubblicando prima della fine dell'anno il Piano nazionale di adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici. Tutto bene dunque? Purtroppo no, e il problema è terminologico ma soprattutto politico. Gli elaborati disponibili sono di sicuro interesse scientifico, descrivono il quadro climatico della penisola e i rischi, gli scenari di vulnerabilità e impatto. Un ottimo studio, ma non un piano.

Mancano infatti le scelte per dare risposta a una situazione che vede il nostro Paese già soffrire gravi situazioni di dissesto idrogeologico che diventeranno sempre più complesse da gestire in uno scenario di impatti più intensi e frequenti di alluvioni e periodi di siccità.

Va dato merito al ministro Gilberto Pichetto Fratin di aver chiuso gli elaborati, facendo meglio dei suoi predecessori Sergio Costa e Roberto Cingolani che avevano tenuto il processo fermo per 5 anni. E dobbiamo essere contenti dalla qualità degli studi che dimostrano il livello di competenze di cui dispone il nostro paese. Ma tutto questo non basta, perché il governo non può limitarsi a descrivere la possibile governance, a definire i criteri per i piani regionali e locali, e risultare credibile rispetto alla volontà di affrontare il problema climatico con un file excel che contiene 361 schede di possibili azioni, senza indicare priorità e nuove risorse.

Cosa manca?

La sensazione che rimane dopo la lettura delle 103 pagine di studi e grafici è di grande interesse, preoccupazione, salvo poi perdersi tra le schede degli interventi che confermano quanto il nostro paese sia oggi senza bussola di fronte a queste sfide.

Eppure, non è difficile capire da dove partire. Basta dare un’occhiata alla mappa digitale del territorio italiano che dal 2010 l'Osservatorio Cittàclima di Legambiente realizza segnando gli episodi di alluvioni, esondazioni e altri impatti che hanno determinato danni e vittime. Ne viene fuori che il territorio italiano non è tutto uguale di fronte a quanto sta accadendo, ci sono città dove i danni sono maggiori e gli episodi più frequenti, territori martoriati e altri dove possono accadere quelle che i media chiamano «bombe d’acqua».

Fino ad oggi abbiamo trattato questi episodi con fatalismo, come conseguenza del dissesto idrogeologico, finanziando senza priorità i progetti “cantierabili” inviati dalle Regioni. Il Governo Meloni ha intenzione di cambiare questa pratica disastrosa? E ancora, ogni estate in alcuni quartieri delle aree urbane italiane ci sono centinaia di morti come conseguenza delle sempre più frequenti ondate di calore. Vittime sono soprattutto gli anziani nelle famiglie a basso reddito che non possono permettersi di ristrutturare casa e comprare un condizionatore.

Grazie agli studi epidemiologici sappiamo dove sono queste situazioni ma fino ad oggi nulla è accaduto. Per non parlare delle spiagge, dove per i partiti della maggioranza l’attenzione va tutta a salvaguardare le eterne concessioni balneari, quando un Piano che guarda a cosa succederà nei prossimi decenni dovrebbe occuparsi di cosa fare per quei tratti di costa – da Taranto alla laguna Veneta – che già sappiamo scompariranno per la crescita del livello del mare. Fino ad oggi abbiamo speso miliardi di euro in rimborsi dei danni delle mareggiate e gettando inutili sassi di fronte alla costa. Servono una strategia e scelte chiare se si vuole smettere di svuotare il Mediterraneo con un secchio bucato.

Nessuna risorsa per gli impatti climatici

Il piano viene approvato subito dopo una legge di Bilancio che non prevede risorse per l’adattamento climatico. Se un comune italiano volesse ripensare un quartiere, ridefinire il rapporto con il fiume o la costa per far fronte a questi problemi non avrebbe il supporto economico o tecnico da parte dello stato.

La differenza è evidente con Copenaghen e Barcellona, Lione e Monaco di Baviera dove si stanno ripensando le città, per adattarle a un clima che le sta rendendo pericolose, dentro un percorso condiviso tra enti locali e governo.

È dal supporto tecnico ed economico ai territori che dovrebbe partire il Ministero per rendere questo piano davvero utile ad affrontare i problemi. E serve il coraggio di modificare normative nazionali e regionali che ancora consentono di costruire legalmente in aree a rischio idrogeologico o di vivere nei piani interrati in zone che periodicamente si allagano, che permettono di consumare suoli agricoli per case, capannoni, parcheggi invece di recuperare le tante aree dismesse. Per non parlare di procedure finalmente efficaci per demolire le migliaia di case abusive costruite in aree a rischio.

Ora si apre la fase delle osservazioni e dobbiamo augurarci che si apra un confronto politico vero per far diventare questo piano qualcosa di utile ad affrontare problemi di una dimensione che mai il nostro territorio ha conosciuto negli ultimi millenni.

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