La Corte costituzionale ha fatto sapere che la decisione sulla legittimità dell’ergastolo ostativo sarà assunta all’esito di lavori che proseguiranno anche la settimana prossima. Avrei preferito che l’incidente di costituzionalità fosse stato rigettato subito, ma se un supplemento di riflessione serve a superare dubbi, ben venga.

Di che cosa si tratta

Da 50 anni le mafie italiane hanno ammazzato senza scrupoli migliaia di persone. Tra queste, hanno ucciso decine di uomini delle istituzioni che le capivano, le denunciavano ed escogitavano mezzi per combatterle efficacemente. Mi riferisco a Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e parecchi altri. Questi uomini sono stati eliminati perché avevano capito tre cose fondamentali.

La prima: le mafie sono poteri organizzati come istituzioni. Per opporvisi con successo occorre attaccare i gangli di quel potere: disarticolarlo con conoscenze e pazienza. Quindi occorre far collaborare con la giustizia qualcuno che si dissoci. All’ordinamento mafioso – in altre parole – è necessario far arrivare il messaggio che lo Stato è in grado di introdursi nelle crepe e picchiare duro. E che, se non ci sono collaborazioni di giustizia, l’unica strada è il “fine pena mai”. Per questo i mafiosi temono i pentiti. Sta a noi far loro sapere che lo Stato è più forte, sempre.

La seconda: le mafie sono una potenza economico-finanziaria. Hanno disponibilità infinite di quattrini, che vengono principalmente dal traffico di droga. Bisogna colpirle senza tregua nella tasca. Sequestri, confische, segnalazioni di operazioni sospette, indagini patrimoniali, controlli rigorosi negli appalti e lotta senza quartiere alle intestazioni fittizie di case e aziende. Anche lì, menare duro e per primi.

La terza: le mafie sono un’ideologia. Le organizzazioni mafiose hanno una sub-cultura bugiarda, riti, simboli, linguaggi e messaggi. Allora occorre riprendersi il territorio (anche con l’esercito, come con le operazioni Vespri siciliani e Partenope), impedire gli “inchini” nelle processioni religiose e stroncare le relazioni mafiose con il 41-bis. Niente visite parentali, niente benefici, niente contatti politici, niente di niente. Il segnale deve essere uno e uno solo: lo Stato è più forte, sempre.

I progressi

Gli uomini che ho appena nominato hanno finito anzitempo i loro giorni (sotto i proiettili dei Pocket coffee - come i mafiosi chiamavano il Kalashnikov - o saltando con il tritolo) per insegnarci queste cose. Sulla base del loro insegnamento la legge italiana ha fatto enormi passi avanti.

Tra le regole che ci hanno permesso progressi ce ne sono due: la condizionalità e l’automatismo.

La condizionalità vuol dire che se il mafioso mira a qualche piccolo beneficio deve collaborare con la giustizia; l’automatismo è che la condizionalità è rigida per legge, non vi sono alternative. Falcone voleva questo meccanismo governato dalla legge, non dagli uomini. Sapeva troppo bene che la regola degli uomini è soggetta a incertezze, paure, opinioni, indoli. La regola della legge è fissa. Per questo furono inventati l’ergastolo ostativo e la presunzione assoluta: se non si collabora si resta dentro a vita.

Con la sentenza n. 253 del 2019, la Corte costituzionale ha cominciato a smontare questa fortezza. È stata una decisione sciagurata, basata sul fraintendimento del principio della rieducazione del condannato. È stato stabilito che, anche se non si pente, il mafioso può – a giudizio del singolo magistrato – essere ammesso ad alcuni benefici. La presunzione di non essersi “rieducati” da assoluta è divenuta relativa.

Falcone e Borsellino però sapevano che i mafiosi, in virtù della loro ideologia, quasi mai si rieducano. Per la loro esperienza, l’adesione è una scelta di vita irreversibile: nelle cosche si entra in piedi e si esce solo sdraiati (a meno che non si venga arrestati). Deve saperlo altrettanto bene Roberto Di Bella, per molti anni presidente del tribunale dei minori di Reggio Calabria, che ha iniziato col togliere i figli ai clan di ‘ndrangheta, nella speranza di affrancarli dall’educazione mafiosa che (quella sì) funziona sin dalla più tenera età.

I diritti

Ho sentito pure che la soluzione di eliminare l’ergastolo ostativo ci sarebbe imposta dalla Corte europea di diritti dell’uomo. All’opposto: vi sono molte sentenze di quella Corte che ci impongono di tutelare le vittime dei reati, anche con azioni preventive. La tendenziale rieducazione del reo è un nobile principio ma il Parlamento ha il dovere di declinarlo e adattarlo al tipo di crimine che ha davanti.

In Brianza, la ‘ndrangheta è radicata da decenni. La tradizione di intimidazione, omertà e corruzione si passa di padre in figlio, con forme mutevoli e mezzi sempre più sofisticati, ma non rinuncia mai alla riserva di violenza. Tutti in zona ricordiamo come il mio comune di Desio ristrutturò e inaugurò il 30 aprile 2012 un bene confiscato alla “locale” mafiosa per farne una casa di accoglienza per malati mentali. Ebbene la risposta dei mafiosi non tardò molto ad arrivare: il 3 maggio 2012, “ignoti criminali” distrussero scientificamente un altro immobile di 4000 mq pronto per essere inaugurato e diventare una scuola professionale sovracomunale.

Del resto, nessuno ha dimenticato l’uccisione di “compare Nunzio” a San Vittore Olona il 14 luglio 2008 e la riunione l’anno dopo dei vertici ‘ndranghetisti, in cui – attorno a un tavolo a ferro di cavallo in un circolo Arci di Paderno Dugnano – si decise la successione a capo della “regione Lombardia” del capo-locale di Corsico. Il messaggio allo Stato lanciato la sera di quel 31 ottobre 2009 stava nel luogo: il circolo era intitolato a “Falcone e Borsellino”. Spero che la Corte costituzionale consentirà alle leggi del Parlamento di rispondere per le rime.

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