È sull’economia che le inclinazioni più estremiste del governo rischiano di venire fuori. L’estate mostra gli aspetti corporativi e statalisti, in particolare di Fratelli d’Italia, che possono minare la credibilità dell’Italia rispetto ai mercati internazionali e soprattutto ingessare eccessivamente l’economia. Se in questa fase è una tendenza mondiale quella di uno Stato più interventista e protezionista ci sono però misure, modi e forme che vanno calibrate per rinforzare l’economia e non per intorpidirla.

Il governo, invece, agisce a tutto raggio e spesso interviene con irruenza. Dapprima il regalo della licenza aggiuntiva alla corporazione dei taxi, poi l’intervento maldestro sui prezzi delle compagnie aeree e su quelli dei carburanti, l’accordo tra Mef e TIM sulla rete unica e infine la tassa blitz sugli extra-profitti delle banche. A questo si aggiungono gli interventi degli enti pubblici controllati dal governo: ad esempio Invitalia, agenzia pubblica che oramai investe in qualunque attività come fosse un fondo privato e ha appena rilevato quote in Snaidero, produttore di cucine, e Pernigotti, storica azienda di dolciumi.

Serve davvero, in un paese con tanto risparmio privato accumulato, che gli enti pubblici intervengano anche in settori non strategici mettendo a rischio i soldi dei contribuenti? La ricetta dell’esecutivo è quella della destra sociale, la parte più radicale del partito di Meloni che fa asse con Salvini, che sfrutta il cambio di paradigma economico internazionale per far avanzare lo Stato in ogni settore. Uno Stato che però, bene ricordarlo, è fortemente indebitato, deve sfruttare ancora gran parte dei fondi del Pnrr, manca di capacità manageriali adeguate a gestire un tal livello di penetrazione pubblica nell’economia.

Il governo entra con quote importanti in aziende che sono o erano private, rischia di far salire i prezzi degli aerei con le norme sul caro voli che manipolano il mercato, di avallare inconsciamente una stretta creditizia e far salire i costi di gestione dei conti correnti, tutela gli interessi di categorie protette come balneari e tassisti senza riguardo per consumatori e qualità del servizio.

A chi giova tutto questo? Nel breve periodo forse a racimolare qualche consenso in più attraverso interventi protezionistici e una politica industriale, che in questa fase storica sarebbe un elemento molto importante se fatta con serietà, perturbata dalla demagogia.

L’obiettivo politico di Meloni sembra quello di coprirsi a sinistra. Dopo aver abolito parzialmente il reddito di cittadinanza, rifiutato il salario minimo e non potendo parlare di immigrazione per evidente fallimento della politica governativa rispetto a quel vecchio cavallo di battaglia al governo servono dei provvedimenti che possano esser percepiti come “giustizia sociale” dall’elettorato e che, in parte, sono condivisi da pezzi dell’opposizione.

Il rischio è che come l’Italia era entrata male nel ciclo neo-liberale degli anni novanta, con privatizzazioni malfatte, poche liberalizzazioni, capitalismo clientelare e dismissione di industrie strategiche, oggi il paese si avvii in maniera altrettanto maldestra nel nuovo ciclo protezionista-statalista cominciato dopo la pandemia. Con un governo che fa troppo e male, attraverso interventi che depotenziano il dinamismo imprenditoriale e ingessano il capitalismo privato.

Col problema per Meloni che, quando ci saranno esigenze di bilancio, l’esecutivo sarà costretto a varare nuove tasse depressive su chi investe e produce. Lo Stato può tornare a intervenire nell’economia per esigenze di sicurezza nazionale, come sosteneva già Adam Smith, ma ciò non significa sdoganare azioni di regolazione, corporativismo, protezionismo e investimento pubblico in qualunque settore. Il pericolo di un effetto boomerang sull’economia è molto elevato.

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