Un evento culturale che contiene un esplicito progetto politico è qualcosa che non siamo più tanto abituati a vedere nella nostra società globale. È accaduto a Roma dove si è svolto l’incontro “Pensare l’immaginario italiano: Stati Generali della cultura nazionale”. Il programma non lasciava dubbi sul fatto che una specifica prospettiva culturale possa avere un ruolo di stimolo verso gli elettori, almeno tanto quanto una proposta economica: «La sfida più grande è alla fantomatica egemonia della sinistra che ormai ha fallito il suo obiettivo», si legge.

Non entreremo nel merito dei contenuti, ma del significato che sembra assumere in questo contesto l’espressione “egemonia culturale”, ovvero la capacità di costruire un pensiero che abbia la forza di conquistare il consenso dei cittadini. Del resto, se il compito della politica è dare forma e attuazione a visioni diverse, allora è giusto che il contribuente sia messo di fronte anche ad una scelta culturale, non meno rilevante di quelle che riguardano le altre grandi questioni della vita democratica.

Se ci pensiamo, è un notevole passo avanti rispetto a una politica che negli ultimi decenni si è occupata quasi esclusivamente di far quadrare i conti, ritenendo che “l’egemonia culturale” fosse qualcosa da conquistare tutt’al più attraverso le nomine Rai. Quindi, piuttosto che domandarci se esista una egemonia di destra o di sinistra, può essere interessante ragionare su questa inaspettata evoluzione.

Moderni vs antichi

Proviamo a farlo utilizzando due categorie antropologiche descritte dal filosofo Leo Strauss: i “moderni” e gli “antichi”. Per Strauss, i “moderni” guardano razionalmente la realtà per come è, impegnati nella ricerca della propria realizzazione, senza sentirsi vincolati da finalità prestabilite o valori di riferimento assoluti. Un pensiero che si è rivelato estremamente vantaggioso negli ultimi tre secoli, permettendo il progresso scientifico e il benessere della società occidentale.

Ma conoscere “come” le cose funzionano non basta, se rimaniamo con il dubbio sul “perché” esistono. Ed è qui che Strauss si rivolge agli “antichi”: uomini per cui lo scopo della società è una comprensione profonda del mondo non esclusivamente attraverso il realismo scientifico ma grazie ad ideali di «virtù e saggezza». Una meta mai del tutto raggiungibile, ma che offre una direzione chiara e condivisa verso cui tendere.

È innegabile che la nostra epoca più recente sia evoluta nel segno della modernità. Ma scelte pragmatiche e crisi di ideali rischiano di trasformare la ragione in un valore di riferimento assoluto: un paradosso, visto che proprio l’assolutismo è agli antipodi della razionalità.

La concretezza dei “moderni” si è rivelata indispensabile per sconfiggere minacce come il Covid, ma fino a quando ChatGpt non ci rivelerà le origini dello spirito, continueremo a percepire il bisogno di approfondire il nostro limitato sapere anche attraverso altri tipi di ricerca. Temi come l’estetica, i diritti, i cambiamenti sociali non rientrano nel campo del misurabile e, come ai tempi di Socrate, richiedono un confronto tanto razionale quanto emozionale.

Una necessaria dialettica

Se riconosciamo questi limiti del nostro sapere “moderno”, riconosciamo anche che il miglior modo per colmare le nostre lacune non è votarsi all’imperialismo della ragione e nemmeno decretare il fallimento di egemonie culturali del passato. La soluzione piuttosto è nel mantenimento di questa tensione, necessaria per rendere la nostra società dialettica, plurale e partecipata anche in termini culturali.

Ed è questa la vera sfida che dovrebbe accettare la politica occupandosi di cultura: non avere paura di mettere a confronto identità e visioni, anche molto diverse, e continuare a interrogarsi tanto sul “come” quanto sul “perché” accadano le cose. Poi, a seconda delle risposte ottenute, ognuno sarà libero di scegliere l’egemonia che preferisce.

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