Con uno sberleffo alla logica, tipico dei populisti, i due Matteo (Salvini e Renzi), uniti nella lotta contro il Pd, accusano il partito di Enrico Letta di non volere la legge  Zan contro l’omotransfobia: vale a dire, loro non la votano e quindi è il Pd che non la vuole. Superior stabat lupus, diceva l’apologo di Esopo: tu pecorella mi inquini l’acqua che bevo anche se tu stai più sotto nel corso del fiume. Nella questione del ddl Zan siamo esattamente nello stesso schema. Chi non vuole votare la legge dice che chi la vuole votare la affossa.

E questo nonostante Italia VIva l’abbia votata cosi com’è, alla Camera. Cosa è mai successo nel frattempo per svegliare le coscienze dei renziani e passare all’attacco del testo? I suoi deputati alla Camera, a incominciare dalla ministra per la Famiglia Elena Bonetti, erano così degli sprovveduti?

No, in mezzo si è gonfiato il Tevere. L’intervento a gamba tesa del Vaticano contro il provvedimento ha dato una scossa alle truppe. Se non stupisce che Salvini e Meloni siano partiti all’attacco, seguiti a ruota da cosiddetti liberali (?) berlusconiani, per ingraziarsi componenti moderate-benpensati-clericali, lascia interdetti il cambiamento di registro innescato da Italia viva. Soprattutto se si pensa agli anni di governo Renzi, tra i più laici e più attenti ai diritti civili della storia della Repubblica.

Il tutto rimanda alla lotta politica, nel senso più puro del termine. Non c’entra nulla questo o quell’articolo della legge. Si tratta piuttosto di mettere all’ angolo il Pd e i Cinque stelle per dimostrare che non possono nulla senza il via libera degli altri partner di governo. E il bersaglio grosso punta alla leadership di Enrico Letta. Portare il Pd a trattare delle modifiche sul suo testo significa sconfessare la linea adottata dalla segreteria e sminuire quindi l’autorevolezza di Letta dentro e fuori il partito.

Tutto questo avviene perché Renzi può contare, al Senato, di una corposa compagine di suoi ex (?) sodali i quali stanno seminando dubbi e distinguo, in piena sintonia con il Italia viva.

Letta  era riuscito a rimuovere dalla presidenza del gruppo un fedelissimo (di Renzi) come Andrea Marcucci ma la forza di questa componente è rimasta intatta e continua a zavorrare l’azione della segreteria.

Fino a che non ci saranno nuove elezioni, per il Partito democratico sarà difficile condurre una azione politica incisiva non potendo contare sulla fedeltà dei propri senatori.  

Anche per questo, il  Pd potrebbe prendere il coraggio a piene mani e definire una strategia che, un volta insediato Mario Draghi alla presidenza della Repubblica – una casella da occupare con una persona di assoluta garanzia per sette lunghi anni – e preveda nuove elezioni in modo da vare un governo con una maggioranza indicata dalle urne (piaccia o meno il possibile esito, ma questa è la democrazia) . E al contempo disporre di un gruppo parlamentare non più in linea con una stagione infausta e del tutto tramontata.

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