L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà. Così il repubblicano Giuseppe Mazzini efficacemente sintetizzava il principale problema del paese ai suoi albori. Le condizioni delle regioni meridionali, al netto di aree eccezionali che indicano nella migliore delle ipotesi uno sviluppo a macchia di leopardo, sembrano piombate direttamente dagli anni Ottanta.

I dati Svimez e Istat sono impietosi circa le distanze crescenti tra nord e sud. Emigrazione quantitativa e qualitativa crescente che svuota i centri e depaupera una economia fiacca, azzoppata dalla pandemia e da scelte miopi e localiste. Tutti gli indicatori principali segnano battute di arresto e la congiuntura internazionale rischia di deprimere pur timidi e incoerenti segnali di ripresa.

Decisivo nelle urne

Eppure il Mezzogiorno rimane centrale nella campagna elettorale. L’elettorato è assai volatile e, segnato da appartenenza debole, disincanto e soprattutto rabbia e disaffezione sociale e istituzionale, cambia comportamento a ogni tornata.

La storia di una certa idiosincrasia e diffidenza per lo stato, per il bene pubblico, è radicata, anche perché alimentata da mal governo, corruzione e mafie. Non a caso i movimenti populisti hanno trovato terreno fertile.

Esistevano però corpi intermedi importanti, solidi e consapevoli, i tre grandi partiti (Dc, Pci e Psi), i sindacati e gli intellettuali che in uno scambio virtuoso producevano idee, proposte e resistevano ai tentativi distruttivi della corruzione masso-mafiosa e della destra.

Dai moti di Reggio, alla camorra e alle grandi speculazioni post latifondiste, fino al movimento abortito rapidamente dei forconi, o alle traversate dello Stretto di Beppe Grillo emulo di Mao sul fiume Giallo. Da questo punto di vista il Movimento 5 stelle ha incanalato la frustrazione in un alveo accettabile e democraticamente compatibile.

Il sud ha deciso l’esito delle elezioni politiche negli ultimi due decenni. Da sempre la geografia elettorale ha visto nel Mezzogiorno un’area di transizione di movimenti, di spostamenti più veloci che nel resto del paese sebbene in una dinamica di “grandi blocchi”.

Recentemente, l’infatuazione berlusconiana nel 1994, ma anche l’emblematico “61 seggi a zero” per la Casa delle libertà in Sicilia nel 2001, il rifugio transeunte nel centro-sinistra, l’urlo ribellista grillino nel 2013 e l’esplosione nel 2018 e infine nel 2019, alle europee, la bestemmia laica del sostegno al senatore Salvini portatore di interessi ostili al sud.

Disuguaglianza sociale e territoriale

Le regioni meridionali rappresentano un bacino elettorale disponibile, appetibile e contendibile. Tutte le opzioni sono state esplorate, anche il populismo grillino. Serpeggia il voto di “estrema” protesta, ovvero l’astensione, la diserzione, che sarebbe la morta gora della democrazia e l’autostrada per la destra radicale. Un salvacondotto per i potentati locali, per le consorterie trasversali e gli interessi consolidati. Nulla cambi.

Viceversa, il sud aspetta un imprenditore politico che abbia coraggio, che compia scelte di rottura, che dia un segnale, che apra un credito di fiducia, e mantenga un canale di comunicazione con una società martoriata.

La disuguaglianza territoriale da sanare dovrà essere il tema delle prossime elezioni. La Germania post 1991 riuscì a mitigare fortemente il divario tra est e ovest grazie a una classe dirigente illuminante, a politiche espansive e a una pianificazione decennale. A una visione di società e di sviluppo oltre che di progresso che riscatti soprattutto i giovani liberandoli dalla disoccupazione e dal lavoro precario.

In passato la “questione meridionale” era sistematicamente studiata sin dalle scuole medie e i partiti non rinunciavano a immaginare soluzioni per risolvere il dilemma gramsciano. Oggi, anche il centro-sinistra a volte appare troppo indulgente rispetto a una presunta questione settentrionale e a rischiose acrobazie sul regionalismo differenziato che metterebbero a repentaglio la reale unità nazionale e il senso stesso di comunità e solidarietà.

La partita del 25 settembre si gioca nelle regioni meridionali che aspettano un segnale chiaro. Il centro-sinistra ha un’occasione formidabile per arginare la fascinazione per le destre e vincere la sfida europea. Sarebbe un bel segnale se il Partito democratico aprisse la campagna elettorale in contemporanea a Melfi, a Termini Imerese, a Pomigliano e a Reggio Calabria.

Il Mezzogiorno, e dunque l’Italia, sarà quel che il centro-sinistra sarà.

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