La nuova segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, deve ricostruire un’organizzazione, non solo una comunità, come dicono in politichese, ma una struttura presente e attiva sul territorio.

Il lavoro è tutto da fare, molto meno sexy del declamare a voce alta e magari indignata i diritti civili e sociali sui quali il governo è debole, ma almeno altrettanto importante.

Infatti, è grazie ad un’organizzazione ben funzionante che quei diritti saranno comunicati ai simpatizzanti e ai potenziali elettori, saranno spiegati in maniera da coinvolgerli e fare nascere e crescere in loco la convinzione che un governo a guida Pd renderebbe il paese più solidale, più vitale, migliore.

Naturalmente, in questo compito, a mio parere decisivo, dovrebbero avere un ruolo centrale gli iscritti che molti resoconti, non so su quali basi, riferiscono essere, se non proprio umiliati, delusi e scoraggiati poiché la loro preferenza per il segretario è risultata (s)travolta dagli elettori/elettrici primarie/e.

Le due opzioni

  Come si ricostruirà un partito intorno alle due proposte che, molto schematicamente, sono emerse nelle poche esternazioni in materia di Schlein e Stefano Bonaccini?

Davvero la nuova segretaria crede che sarà sufficiente l’afflusso di poche decine di migliaia di iscritti (quanto davvero nuovi e non rientri sarà poi utile sapere) e l’apertura ai movimenti, alla famosa società civile, a rinnovare/ristrutturare il partito?

Davvero il neo-presidente del partito Bonaccini, è convinto che la spina dorsale del Pd debbano essere gli amministratori locali, tutti wonderwomen e supermen che oltre all’intensa e assorbente attività amministrativa avranno tempo e voglia da dedicare alle riunioni e all’attività di partito con il rischio di politicizzare la loro carica di governo locale?

Schlein non ha in nessun modo chiarito quale può essere l’offerta alle associazioni e ai gruppi esterni che li convinca ad avvicinarsi al Pd.

Forse due “sardine” in Ddrezione sono un primo segnale, ma inevitabilmente già concluso.

Mi parrebbe molto opportuno tentare, in una pluralità flessibile di forme, l’instaurazione di un rapporto con i lavoratori organizzati, non tipo cinghia di trasmissione che rischierebbe di essere il sindacato Cgil che detta con il Pd che si adopera per l’attuazione.

Precari e pensionandi, che sono gran parte di quel mondo, attendono risposte che tengano insieme credibilmente quanto troppi spacchettano ovvero proprio come non solo difendere il lavoro, ma produrne le opportunità, di volta in volta, riconoscendo nei fatti la centralità come elemento di sussistenza e di dignità. Non è un frase fatta, ma un impegno da prendere e da articolare.

Auspicabilmente, un Partito democratico dovrebbe porre in alto sulla sua agenda il tema della partecipazione politica, come apprendimento, come modalità di rapportarsi agli altri, come attività che può dare soddisfazione nel perseguimento di obiettivi personali e di solidarietà.

Dal basso

Al diversificato “popolo” (sic, non “partito”) degli astensionisti va mandato non solo l’invito alla partecipazione in quanto dovere politico e al voto in quanto dovere costituzionale (articolo 48 della Costituzione), ma anche il messaggio che chi partecipa contribuisce a fare sì che le sue preferenze e i suoi interessi siano presi in seria considerazione.

Tutto questo potrà essere fatto partendo dal basso, non sta a me valutare quanto gli esistenti circoli siano in grado di rilanciarsi, dai livelli locali favorendo l’emergere di una nuova classe dirigente e di una cultura politica che richiede studio e apprendimento. L’ora è già scoccata.

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