Le primarie aperte saranno pure una assurdità per i politologi, perché permettono a simpatizzanti ed estranei di scegliere il vertice del partito, ma proprio per questo stimolano la partecipazione perché ogni esito è possibile. Anche ribaltare il verdetto dei circoli del Pd che avevano premiato Stefano Bonaccini con una netta maggioranza del 52,9 per cento.

Ai gazebo, invece, ha vinto a sorpresa Elly Schlein e adesso tutto cambia. 

Anche se il Pd è rimasto l’unica forza rilevante a chiamarsi “partito”, è diventato di fatto un movimento, una piattaforma di intersezione tra battaglie identitarie, slanci, singole istanze e generali malcontenti che non hanno rappresentanza altrove.

Schlein ha vinto perché ha aperto un Pd chiuso, e forse questa è rimasta l’unica prospettiva di un partito che – da solo – sembrava destinato a una lenta consunzione.

Adesso il Pd ha una leader donna, ed è la prima volta, ed è anche un tipo di donna molto contemporanea che sfugge a ogni classificazione e offre così un modello di leadership femminile radicalmente alternativo a quello di Giorgia Meloni e allo slogan «sono una donna, sono una madre, sono cristiana».

La forza simbolica della vittoria di Schlein è evidente, ma la leadership non è fatta soltanto di simboli. Schlein è giovane solo per gli standard italiani (ha 38 anni), ma sicuramente è inesperta: non ha mai guidato una organizzazione complessa, ha fatto la vice-presidente dell’Emilia-Romagna per un paio d’anni senza lasciare traccia, al Pd si è ri-iscritta soltanto un attimo prima delle primarie.

Guida un partito che non conosce davvero, e per questo rischia di essere catturata dai “grandi elettori” che hanno scommesso su di lei, da Goffredo Bettini a Dario Franceschini.

Sarebbe una contraddizione letale cercare di guidare un partito-movimento come se fosse ancora un partito di massa novecentesco, quando non c’è più il Novecento e neppure la massa.

Durante la sua campagna per le primarie, Elly Schlein ha tentato uno sforzo di sintesi che ora è chiamata a rendere sistematico: recuperare una tradizione della quale il Pd sembrava quasi vergognarsi (Bella ciao e dintorni) e fonderla con le nuove istanze che mobilitano generazioni senza appartenenza ideologica, dalle questioni di genere all’ambiente.

Due temi sui quali, dall’opposizione, il Pd non può ottenere grandi risultati parlamentari ma ha comunque la possibilità di influenzare il dibattito e l’agenda.

La legge Zan non è mai stata approvata ma per almeno un anno si è parlato di omotrasnfobia e identità di genere, e già questo è un passo rilevante nella direzione auspicata.

Schlein non è una politica navigata, ma nelle sue precedenti campagne elettorali ha dimostrato – come in queste primarie – di saper mobilitare e aggregare elettori oltre il perimetro tradizionale del vecchio Pd.

Ha un anno di tempo per riuscire a consolidare questo approccio in una strategia che porti il Pd ad avere più consensi del Movimento Cinque stelle alle elezioni europee 2024 e a diventare, di nuovo, una credibile alternativa alla destra di Giorgia Meloni.

Per riuscirci, però, Schlein deve anche costruire una coalizione larga della quale il Pd sia il perno. E non sarà facilissimo, visto che il Pd-movimento si presenta come un chiaro competitor per il Movimento Cinque stelle di Giuseppe Conte. Anche al centro i rapporti saranno complicati.

Gli elettori del Pd, comunque, hanno scelto Elly Schlein per dare una nuova identità netta, non per diluirsi subito cercando compromessi con altri.

Se questo porterà a una eroica sconfitta o a una sorprendente rinascita è presto per dirlo.

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