Il cantante si è ritirato dal festival alla notizia di essere indagato per associazione a delinquere nell’inchiesta "Doppia curva”, rinnovando lo stupore che si vive a Sanremo da quando c’è la quota rap-trap. Ma è Sanremo che insegue fedine penali sporche o testi problematici per allargare la sua platea: possiamo almeno smettere di indignarci e correre ai ripari quando un rapper fa il rapper?
Sul social di Musk, il più reattivo quando si parla dello scandalo del giorno, c’è già chi ci trova un filo conduttore: la presenza di Antonella Clerici, forza caotica che ribalta gli schemi precostituiti del Festival di Sanremo. In questo caso, il primo pezzo che cade dalla carrozzeria di Conti è la partecipazione di Emis Killa. Dicono gli osservatori attenti delle curve e dei grafici sanremesi, quando c’era Antonellina nel 2010 Morgan veniva squalificato per via delle sue dichiarazioni poco prudenti sull’uso di droghe pesanti, quando è tornata nel 2020 ci fu la seconda, grande cacciata di Marco Castoldi e del suo compagno di avventure Bugo.
E poi, arrivati alla settantacinquesima edizione, poco dopo l’annuncio della sua co-conduzione al fianco di Gerry Scotti, ecco che piove dal cielo, non proprio come un capolavoro, per para-citare Il Volo che presto rivedremo su quel palco al fianco di Clara nella serata di cover, la prima vera polemica della kermesse.
L’inchiesta
Emis Killa si è ritirato dal festival a due settimane dall’inizio perché a pesare su di lui, nonostante il garantismo di Conti, c’è la gravità di una indagine, «preferisco fare un passo indietro», scrive su Instagram, citando forse inconsciamente un’altra grande polemica sanremese, quella del governo Amadeus I e delle donne che aveva invitato sul palco; sembra una vita fa, e forse lo è già.
Il rapper di Vimercate che undici anni fa cantava la canzone ufficiale dei mondiali di calcio, Maracanã, lo stesso che scriveva insieme a Saturnino l’inno del Milan, #Rossoneri, nonché featuring notabile dell’estate 2024 accanto al neo-separato Fedez con SEXYSHOP, oggi è indagato per associazione a delinquere all’interno dell’inchiesta "Doppia curva”, dopo essere stato colpito dal Daspo che gli vieta di assistere alle partite di calcio e dopo il ritrovamento in casa sua di coltelli, taser, tirapugni.
Così, Emis Killa, al secolo Emilio Rudolf Giambelli, si aggiunge alla lista di personaggi che confermano il vecchio precetto sull’abito del monaco, una questione che, da quando a Sanremo è stata introdotta la quota rap-trap, sembra rinnovarsi ogni anno con un elemento di stupore ampiamente anticipabile. O in altre parole, la quintessenza di un altro famoso precetto, quello che parla di biciclette volute e di pedalate imposte.
Perché la questione attorno ai testi misogini di Tony Effe o alle beghe legali legate al mondo degli Ultrà di un rapper che nella sua carriera vanta la composizione di un inno milanista – altro precetto: la mela non cade lontana dall’albero – è più o meno sempre la stessa.
Allargare la platea
Abbiamo voluto il Sanremo trasversale e transgenerazionale, quello che include tutti i generi, quello che piace tanto ai José Sebastiani e ai giovanissimi, social-friendly, generatore di meme, catalizzatore di attenzione, abbeveratoio di case discografiche, produttore di trend, hit, featuring, hype e tutte le parole anglofone che vogliamo usare per posizionarci in ottica SEO, e ora ci ritroviamo con la patata bollente dei cattivi ragazzi che cantano con le rime – se va bene, non ci scordiamo che la trap ha abbandonato pure quelle, oltre che le buone maniere nei confronti del genere femminile.
Fedez e Tony Effe
Giusto poche ore prima del Killa-gate, Fedez ha cominciato a scaldare i motori della sua partecipazione al festival – l’ultima, è bene ricordarlo, gli è costata il matrimonio, da quanto apprendiamo nella docuserie di Prime Video – rendendosi protagonista, volontario o involontario, scire nefas, della puntata più attesa del format di Fabrizio Corona Falsissimo, schizzata presto alla prima posizione tra le tendenze su YouTube.
Non è ancora partito il conto alla rovescia per l’evento musicale più atteso dell’anno che già il pubblico viene bombardato con una serie di informazioni che fanno il paio con un altro evento premonitore già abbastanza infausto, la sera in cui Federico Lucia si presenta in evidente stato confusionale da Carlo Conti, dando un’anticipazione piuttosto sconclusionata del suo brano in gara e dimostrando di non avere molto chiara la figura retorica della personificazione.
In sostanza, il drama, per dirla all’inglese e all’internettiana, è già servito prima ancora che si aprano le danze dell’edizione venti venticinque, preannunciando un’altra potenziale mina vagante sparata a tutta velocità in direzione costa ligure.
Per non parlare dell’epopea di Tony Effe e del capodanno incriminato, con tutta l’operazione di ripulitura del trapper che ne consegue, ora che nelle interviste ci racconta delle sue lezioni di italiano e delle sue letture impegnate da giovin signore, per dimostrare a tutti di essere un presentabile. Eppure, ce lo ricordiamo, noi affezionati, di quando cantava «nella padella pollo e cocaina», i bei tempi andati della Dark Polo Gang e del «triplo sette su ogni cosa». Viene da chiedersi chi è il bufu adesso.
L’ipocrisia
E Junior Cally e le polemiche con Striscia la notizia e Matteo Salvini nel 2020? E Achille Lauro, sempre contro Striscia, e le sue allusioni presunte o velate alle droghe sintetiche? Per non parlare di Guè, che giusto lo scorso anno saliva sul palco per un medley con Gigi D’Alessio, Luchè e Geolier cantando una strofa che diceva «Più di ogni banconota, più della coca», o di Rosa Chemical che twerkava con disinvoltura su Fedez, lasciando tutti allibiti di fronte a tanta insolenza. Persino Colapesce-Dimartino, che con il rap, la trap e il bling bling non hanno niente a che fare, furono presi di mira prima della loro partecipazione con Musica leggerissima per via del titolo di un altro loro brano, Rosa e Olindo, pericolo fortunatamente poi scampato.
Insomma, non c’è Sanremo recente senza contrasto, lamentele, indignazione e sgomento, ma non c’è neanche Sanremo che regga, oggi, senza includere quegli artisti che, fedine penali sporche o testi problematici che siano, a conti fatti sono ai vertici delle classifiche, e non sembrano avere intenzione di spostarsi.
La televisione generalista, e con lei i suoi capitani coraggiosi che curano con lungimiranza la direzione artistica delle ultime edizioni del festival, dovrebbero fare i conti con questa insolvibile contraddizione: dato che imborghesire un genere che nasce per antonomasia come veicolo di provocazione è una missione fallita in partenza, per quanto il genere si sia addomesticato abbondantemente da solo, vogliamo metterci d’accordo per smetterla di stupirci, indignarci e correre ai ripari quando un rapper fa il rapper?
O in alternativa, smettiamo di invitare Antonella Clerici, visto che stando a X è lei l’origine di tutto il caos.
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