Prima ancora che cominciasse il Consiglio dei ministri di oggi, la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova già diceva che la proposta del premier Giuseppe Conte su come gestire il Recovery fund europeo era «inaccettabile». Domani ha letto il testo completo che la ministra dice di aver ricevuto soltanto nella notte.

Conte vorrebbe costruirsi un vero governo nel governo, un comitato esecutivo che risponde al Ciae (Il Comitato interministeriale degli affari europei), quindi due livelli di separazione dal Consiglio dei ministri, nessun coinvolgimento del Parlamento, e una capacità di assunzioni e di spesa assoluta, in deroga a tutto, all’obbligo di fare gare per usare aziende, a quello di fare concorsi per il personale, ai controlli della Corte dei conti e con il coinvolgimento di dirigenti delle società pubbliche controllate dal ministero del Tesoro, che però hanno anche azionisti privati e si muovono in un contesto di mercato. Il tutto, ovviamente, governato per Dpcm senza passare quindi dal parlamento e neppure dal controllo preventivo della presidenza della Repubblica, come capita per i decreti legge. 

La scelta

La bozza intitolata Accelerazione delle procedure autorizzatorie e responsabili di missione del piano nazionale di ripresa e resilienza prevede la nascita del Comitato esecutivo composto da premier Conte, ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli, ministro del Tesoro Roberto Gualtieri e ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola, di intesa col ministro degli Esteri (Luigi Di Maio) dal quale dipende ma soltanto per le questioni «di sua competenza». In questo caso poche. Il comitato esecutivo risponde al Ciae, comitato interministeriale per gli Affari europei presieduto da Conte, con dentro Gualtieri e altri ministri competenti per materia e oggetto. 

Con un Dpcm, poi, Conte prevede di creare una «struttura di missione» per sostenere i «Responsabili di missione» titolari delle diverse aree del PNRR, il piano per spendere le risorse del Recovery fund. Questi responsabili sono nominati per Dpcm «anche nell’ambito di società a partecipazione pubblica». E questo già crea due potenziali problemi: il dossier più delicato del governo viene affidato a soggetti scelti direttamente dal presidente del Consiglio soltanto e presi anche da società che sono le stesse che propongono i progetti da finanziare con il Recovery plan. Eni, Enel, Snam, Leonardo: tutte stanno chiedendo investimenti per miliardi, Conte progetta di prendere da lì chi si occuperà di gestire quei finanziamenti. 

I responsabili di missione saranno guidati da un “coordinatore” nominato però sempre da loro stessi, riuniti in una Conferenza dei responsabili di missione. 

Personale senza limiti

Ovviamente i responsabili di missione non possono fare tutto da soli, potranno contare su un «contingente di personale, anche di livello dirigenziale» scelto tra il personale della pubblica amministrazione, anche fuori ruolo, e – di nuovo – anche «tra il personale di società pubbliche partecipate in base a rapporto regolato anche su base convenzionale». 

Ma la parte interessante è questa: il «contingente» può essere composto anche da «consulenti o esperti, anche estranei alla pubblica amministrazione, scelti fiduciariamente tra soggetti dotati di alta e riconosciuta professionalità nelle discipline oggetto degli interventi». Che sono praticamente tutte, da quelle giuridiche a quelle economiche a quelle urbanistiche fino alle piattaforme digitali. 

Questi professionisti possono avere «contratti a tempo determinato, disciplinati esclusivamente dalle norme di diritto privato». Questa parte è una novità rilevante: significa che a gestire una enorme quantità di fondi pubblici saranno persone che non sono passate da un concorso pubblico, ma vengono assunte come in una azienda privata, sia pure a tempo determinato.

Niente concorso e niente tetto agli stipendi

Il limite al contratto è da un lato la garanzia che poi non rimarranno a zavorrare la pubblica amministrazione, dall’altro è un potenziale rischio: a qualunque azienda che aspira ai fondi del Recovery non dispiacerebbe privarsi per un paio d’anni di qualche bravo dirigente per poi riassumerlo subito dopo che avrà gestito le risorse in quello che si configurerebbe come un conflitto di interessi di sostanza, anche se non di forma. 

Tutte le norme sull’obbligo dei concorsi pubblici vengono derogate e – dettaglio significativo – anche quelle sugli stipendi: «Il trattamento economico accessorio del personale in servizio presso la struttura è corrisposto, in deroga alla vigente disciplina in materia, dal direttore amministrativo, che è il datore di lavoro del personale della struttura». 

Zero controlli

In nome della rapidità, le decisioni dei responsabili di missione non sono soggetti al controllo preventivo della Corte dei conti, che vigila sulla spesa pubblica. Non si applicano neppure i principi che disciplinano le spese della stessa presidenza del Consiglio, visto che viene derogato un Dpcm del 2010 che impone una serie di limiti alle spese di palazzo Chigi, tipo che la spesa non può eccedere lo stanziamento o che deve essere imputata esattamente al capitolo previsto, cioè non può essere usata per altro.

La struttura disegnata da Conte, quindi, sarà più libera dello stesso Conte, avranno meno limiti di quelli che ha, per esempio, il portavoce del premier Rocco Casalino o il suo capo di gabinetto Alessandro Goracci.

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Cosa resta ai ministri 

I ministri del governo Conte non saranno felici di essere completamente tagliati fuori. Per loro il premier prevede soltanto la facoltà di richiedere «uno specifico tavolo di confronto con i responsabili di missione» sugli argomenti di loro competenza. Ma soltanto attraverso un «referente unico» per i rapporti con la struttura di missione. 

Poiché Conte ha imparato che una delle prime fonti di opposizione a questo tipo di accentramento può arrivare dagli esperti indipendenti o dalle parti sociali, cioè associazioni di imprese e sindacati, prevede per loro un ruolo privo di poteri decisionali ma che dovrebbe farle sentire coinvolte.

Ci sarà un Comitato di responsabilità sociale «composto da rappresentanti delle categorie sociali, del sistema dell’università, della ricerca scientifica e della società civile».

Poteri: zero, può al massimo fornire pareri o dispensare segnalazioni. Ma si sa che a molti piace essere nominati in un simile consesso che raccoglie, per legge, «personalità di alto profilo istituzionale e scientifico e di notoria indipendenza». E una volta nominati, difficilmente si critica chi ha concesso una simile patente di prestigio e rispettabilità.

 In ogni caso, il compito degli esperti è aiutare i responsabili di missione a «favorire il superamento di circostanze ostative»,  non certo metterne in discussione le scelte. 

Ritardi e superpoteri “modello Genova”

Al comma 17 della bozza entrata in Consiglio dei ministri si trova la sorpresa maggiore: i reponsabili di missione potranno comportarsi quasi come la Protezione civile in stato di emergenza. Nel caso ci siano ritardi – detta in burocratese «ove sia indispensabile a garantire il rispetto del cronoprogramma» – il responsabile di missione può emanare ordinanze «in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia». 

In pratica è il famoso “modello Genova”, quello seguito per la ricostruzione del ponte Morandi, con la significativa differenza che qui i soldi da spendere sono quelli dei contribuenti italiani ed europei e non quelli di Atlantia-Autostrade, come nel caso genovese dove il commissario-sindaco Marco Bucci aveva ampio margine di intervento ma almeno non usava risorse pubbliche. 

Se la situazione è senza speranza, il Comitato esecutivo – previa delibera del Consiglio dei ministri, che almeno su questo è coinvolto – può revocare il finanziamento. 

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