L’Europa non deve cadere nella trappola americana

Ora è chiaro: gli Stati Uniti di Donald Trump non vogliono aver più nulla a che fare con un’Europa a dire di molti declinante e meticcia, culturalmente e etnicamente imbarbarita. Ne temono il contagio, visto che anche negli Usa crescono gli Zohran Mamdani. È questo ciò che si desume dalle pagine della National Security Strategy resa pubblica pochi giorni fa. Nulla di che stupirsi: il vicepresidente JD Vance si era già incaricato di farcene conoscere le grandi linee durante i suoi discorsi in Europa. Perché il nostro continente mette così tanta ansia all’America? Perché si comporta come una potenza post-imperiale, tendenzialmente mite e materna: il welfare vituperato dai Maga diventa l’espressione di tale atteggiamento. Gli imperi agitati (come Mosca e Washington) non apprezzano l’esempio di chi ha abbandonato quel modello. Mentre negli Usa “rinnovati” dal trumpismo si auspica uno Stato “paternalista”, severo e guerriero, che riscopre il vecchio espansionismo e rinnova le sue radici religiose, l’Europa appare troppo dolce, materna e tollerante, disinteressata al proprio passato imperiale e sorda agli appelli americani. I neo-repubblicani Usa vedono un avversario nelle lentezze burocratiche dell’Unione europea con decisioni all’unanimità: altrimenti non se ne preoccuperebbero. L’Europa voluta dai padri fondatori si basa proprio sull’accordo consensuale, continuamente mediato. Nel suo Il nostro tempo. Narrare un’Europa, Luigi Zoja ricorda una significativa citazione di Julien Benda: «L’Europa o sarà seria o non sarà. Sarà molto meno “divertente” delle nazioni che erano già meno “divertenti” delle provincie. Dobbiamo scegliere: o fare l’Europa o rimanere eterni bambini». È vero che gli ovattati corridoi del Charlemagne, del Berlaymont o del Justus Lipsius (i “palazzi” d’Europa) sono tediosi e spesso opprimenti; è vero che ogni decisione è ruminata infinite volte tanto da perdere gusto e colore. Nessuno obietta che nazioni e provincie (pensiamo al Rinascimento italiano) erano e possono apparire più allettanti, colorate e spassose, trattando di identità contrapposte con inesauribili polemiche, scelta dei nemici, scambio di alleanze, scontri di ogni tipo e financo guerre. Tuttavia queste ultime, iniziate sempre con pifferi e sventolio di bandiere, sono terminate tutte in tragedia e quasi nel suicidio del continente. L’aggressione russa all’Ucraina ci ha trasportato indietro facendo riemergere dal fondo della nostra storia la paura del nemico aggressore alle frontiere, che mette i brividi, risveglia ma anche eccita i sensi. È proprio ciò che vorrebbe da noi l’America: un’Europa che ritrovi l’esaltazione di un tempo. Forse è troppo tardi per ridare spazio e credibilità a tali trepidazioni: nella coscienza europea è radicata la consapevolezza della distruzione totale e dell’inutile strage. A meno che la destra radicale europea (degli Stati membri del nord-est, ma non solo) non ci riporti tutti indietro; leggi: alla guerra contro la Russia. La reazione negativa dei giovani tedeschi all’idea della leva in Germania va nell’altro senso: non si vuole rivedere l’Europa ipernazionalista e militarista che fu. Ecco perché è necessaria un’Europa non infantile, come scriveva Benda. L’eccitazione bellicista attuale, che pervade parti della politica europea e italiana (a destra come a sinistra), appare puerile: non si basa su nulla di concreto (solo minacce e allarmi apocalittici); non considera la storia passata; si fonda su premesse impossibili (finanziarie e demografiche) e si riscopre “vitale” solo perché in cerca di un nemico. Nessuno in Europa (salvo alcune eccezioni) giustifica la guerra di Vladimir Putin e dei suoi. La Russia stessa è ghermita da revanscismo e da un rancore immaturo nei confronti dell’Occidente. Ma questo non vuol dire lasciarsi trascinare nel gorgo delle recriminazioni e della sua scellerata scelta bellica. L’Europa non deve andare fuori strada: la sua "seriosità” serve innanzi tutto a portare a termine un lunghissimo processo di unità, che non può essere sviato dai “fuochi d’artificio” russi o americani. Li abbiamo già vissuti, anzi li abbiamo proprio inventati noi in Europa e hanno sempre dato pessima prova di sé.