L’intervento è stato fatto durante l’evento della associazione Coscioni del 20 dicembre, sedicesimo anniversario dalla morte di Piergiorgio Welby

Io sono un prete sospeso a divinis e una delle motivazioni per cui il mio vescovo mi ha sospeso è il mio appoggio a una legge che regolamenti l’eutanasia.

Vorrei condividere quelle che sono le motivazioni che mi hanno portato a esprimermi a favore di una legge sull’eutanasia, prima fra tutte quel principio empatico, che di per sè c’è anche nel Vangelo, che cerco sempre di seguire e che potremmo chiamare la regola d’oro: tutto quello che volete che un uomo faccia a voi anche voi fatelo a lui.

Quello che ho imparato è l’aver provato a immedesimarmi nella vita di quelle persone che devono affrontare delle situazioni di malattia grave, il che mi ha portato a chiedermi come mi comporterei se fossi io a trovarmi in quella situazione e a dover affrontare delle sofferenze gravi, una malattia magari inguaribile, che cosa vorrei in quella situazione; la risposta che mi sono dato è che sarei confortato dal sapere che esiste una legge che possa permettermi di morire dignitosamente, senza ulteriori sofferenze, e che mi permettesse di farlo senza dovermi allontanare dal mio paese e dalle persone care.

Di fronte alla possibilità di poter permettere a una persona di scegliere i tempi e i modi della morte, per poter avere una buona morte, molte persone obiettano che la morte può essere definita come buona solo quando rispetta i modi e i tempi previsti dalla natura, eventuali sofferenze comprese, posizione che appartiene anche al magistero della Chiesa cattolica.

Mi sono chiesto se sia lecito voler decidere, a tavolino e oggettivamente, quando una morte può essere definita buona, perché per alcune persone quelle sofferenze, quelle situazioni di difficoltà che una malattia può provocare, possono essere ritenute sopportabili, anzi, secondo alcune visioni possono avere anche un altissimo valore spirituale; il che può portare la persona a scegliere di permanere in quello stato, attendere serenamente la morte affrontando la sofferenza, una scelta che va totalmente rispettata.

Al contempo ci sono persone che messe davanti alla stessa situazione, invece, la ritengono una tortura devastante, una situazione di vita disumana, e quindi chiedono di poter interrompere anticipatamente la propria vita. Quali di queste morti può essere detta buona? Chi può decidere la bontà o meno di quel momento?

Mi sono risposto che, in realtà, non si tratta di stabilire che cosa sia oggettivamente meglio, se la sofferenza o la non sofferenza, se la resistenza o la resa, se il prolungamento ad oltranza di una malattia dolorosa oppure l’eutanasia: l’unico criterio dev’essere il bene della singola persona, che può essere stabilito solo dalla persona stessa, che dipende dalle sue capacità di sopportazione ma anche da quelle che sono le sue visioni della vita e del mondo.

Sono consapevole del fatto che questa mia posizione non coincide con quella del magistero della Chiesa e quello che vorrei fare è un’obiezione diciamo, perché la visione del magistero della Chiesa, che vorrebbe essere altamente spirituale, la trovo fondamentalmente materialista, interessata a salvaguardare unicamente la dimensione biologica della vita umana, andando a trascurare l’interezza della persona e a escludere un aspetto a mio avviso fondamentale, che è la peculiarità della persona umana, cioè la capacità di libertà e di autodeterminazione. Per questo dico materialista.

Condivido con la Chiesa l’idea della sacralità della vita, ma anche in questo caso ritengo giusto che il princìpio, come tutti i princìpi ideali, debba essere commisurato al bene concreto della persona umana, perché è sempre importante mediare tra il principio generale e le situazioni concrete, è il discernimento che ci permette di superare la freddezza e l’inevitabile impersonalità delle leggi, perché ci costringe a guardare il vissuto delle persone e onorare la sacralità della vita.

Concludo dicendo che quando un essere umano liberamente sceglie di interrompere la propria vita biologica, perché per lui o per lei l’esistenza è diventata un carcere, una tortura, secondo me chi desidera il bene di quella persona deve rispettare questa sua scelta e il rispetto deve essere dovuto da tutti, stato e chiesa compresi.

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