La tassa sugli extra profitti delle banche non è solo sbagliata: è anche controproducente. Si hanno extra profitti quando un’impresa opera in regime di monopolio, e per questo le sue tariffe sono regolamentate.

Non è il caso delle banche. Se queste davvero facessero profitti in eccesso, la politica giusta sarebbe aumentare la concorrenza, per esempio promuovendo alternative finanziarie ai depositi, non imporre una tassa a casaccio.

Secondo quale logica economica un margine di interesse cresciuto più del 5 per cento tra il 2021 e il 2022, o più del 10 quest’anno, è un extra profitto? Mi pare che qui prima si sia deciso quanti soldi ramazzare, poi si siano stabilite le percentuali di imposizione per poi aggiustare il tiro nella notte (ieri la crescita «normale» del margine di interesse era rispettivamente del 3 e 6 per cento) per non penalizzare troppo questo o quell’istituto bancario.

Si parla di extra profitti, ma il margine di interesse è solo una voce del conto economico: alla formazione dell’utile di una banca concorrono anche le commissioni, le svalutazioni, gli accantonamenti per i prestiti e le poste straordinarie.

Tassando una sola voce del conto economico, si colpiscono gli istituti bancari in modo molto differente, violando il principio base della par condicio per le imposte sugli utili. Ho stimato che la tassa potrebbe ridurre del 43 per cento l’utile di Bper, contro il 15 quello di Intesa e solo dell’8 quello di Unicredit.

Inoltre, l’imposta è retroattiva, violando un altro principio base di ogni sistema impositivo. Infine, tassando le banche italiane si tassano anche gli utili delle straniere che operano in Italia attraverso una controllata (Bnp con Bnl per esempio) e in un momento di molti confronti aperti con l’Europa, era meglio evitare.

Il margine di interesse sarebbe aumentato «troppo» secondo Matteo Salvini perché le banche non hanno trasferito ai depositanti gli aumenti della Bce. Sulla base dello stesso principio, avremmo dovuto sussidiarle quando i tassi negativi, sempre imposti della Bce lo hanno annullato.

E cosa si farà il prossimo anno, quando il margine scenderà come tutti si aspettano? Il governo ha ventilato che la tassa è temporanea, ma si sa che in Italia non c’è niente di più permanente di un provvedimento temporaneo.

C’è inoltre il rischio che l’aumento dei tassi, e le prospettive che rimarranno elevati a lungo, unitamente ai crescenti timori di recessione, già realtà in Germania, facciano aumentare sofferenze e svalutazioni delle banche l’anno prossimo: l’aumento eccezionale del margine di interesse quest’anno potrebbe dunque servire per assorbire l’impatto dei possibili futuri accantonamenti.

Ci sarà pure una ragione per cui il mercato valuta in media le banche italiane appena il 55 per cento del loro patrimonio. Con questo scenario, tassare il margine oggi potrebbe dunque rivelarsi un boomerang perché frena la propensione delle banche a erogare prestiti.

Problema di credibilità

L’intervento del governo con un’imposizione ad hoc in un settore aperto alla concorrenza e in regime di libertà di movimento dei capitali, crea un problema di credibilità nei confronti degli investitori stranieri: una politica suicida per un paese con un enorme debito pubblico detenuto all’estero e che, avendo un mercato dei capitali asfittico, deve fare affidamento su quelli stranieri per finanziare gli investimenti.

Bastava vedere la penalizzazione che hanno subito i titoli bancari spagnoli quando l’anno scorso il governo socialista di Pedro Sánchez ha imposto la sua tassa sugli extra profitti.

Che la tassa sia poi un modo per alleviare il costo dei mutui sulle prime case è pura demagogia (ma, ahimè, efficace). Quanto dell’imposta verrà utilizzata come sussidio ai mutui? Con quali criteri? Chi si qualifica? E come verrà gestito questo ennesimo bonus, sussidio, agevolazione, che come i precedenti è causa solo di inefficienze, abusi e burocrazia?

L’aspetto più preoccupante è che con questa tassa il governo dimostra di essere in affanno con i conti pubblici e di dover ricorrere ad espedienti per fare cassa. Visto la fine degli acquisiti di titoli della Bce, l’aumento dell’onere degli interessi sul debito pubblico, i ritardi col Pnrr, la riforma del Patto di stabilità e la mancata ratifica del Mes, è un segnale molto preoccupante che mandiamo all’esterno.

Ad aggravare le cose il fatto che sia il ministro delle Infrastrutture ad annunciare un’imposta straordinaria che tocca il sistema finanziario. Qui siamo oltre il dirigismo: si rasenta il peronismo. Speriamo solo di non fare la fine dell’Argentina.

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