«Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la mia vita perché tu lo possa dire», diceva Voltaire. O meglio, più che dirlo, gliel’ha fatto dire la scrittrice inglese Evelyn Hall agli inizi del Novecento, in un paio di sue opere, salvo poi confessare in seguito di esserselo inventato. Come se Voltaire non avesse il diritto di dire pure lui cosa voleva, invece di vedersi attribuire cose dette da altri.

Non c’era però bisogno di scomodare Voltaire, per affermare che ciascuno ha diritto non solo di avere le proprie opinioni, ma anche di dirle, almeno a due condizioni: non pretendere di imporle agli altri, e non offendere chi è costretto ad ascoltarle.

Purtroppo queste due condizioni sono spesso violate, e violarle è altrettanto spesso causa di guai, soprattutto quando sono in ballo le opinioni religiose.  

Diceva infatti il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg (questa volta per davvero, nell’articolo Un universo pianificato? del 1999) che “con o senza la religione i buoni si comportano bene e i cattivi si comportano male, ma ci vuole la religione per far comportare male le persone buone”. In fondo, persino i santi possono perdere la pazienza, quando qualcuno pretende di imporre, o anche solo professare, superstizioni diverse dalle loro: figuriamoci le teste calde e gli squilibrati.

Purtroppo, la pazienza la perdono frequentemente i seguaci delle tre religioni “rivelate”, ciascuna delle quali afferma che il proprio dio (Yahweh, Cristo o Allah) è l’unico vero, mentre quelli altrui sono “falsi e bugiardi”. In tal caso, anche solo esprimere la propria opinione può diventare offensivo per coloro che ne hanno altre, e così si spiegano le violenze che da tremila anni hanno sconvolto il Medio Oriente, dapprima, e il mondo intero, poi. E che continuano anche oggi, come la cronaca anche recente e vicina ci mostra.

La storia dei rapporti reciproci, binari o ternari, fra ebrei, cristiani e islamici è una delle vergogne endemiche del genere umano: «chi è senza peccato scagli la prima pietra», diceva uno dei “tre impostori”, come furono chiamati i tre fondatori in un famoso libello del Seicento, attribuito a Spinoza.

Il buon senso vorrebbe dunque che, invece di buttare olio sul fuoco, si cercasse il più possibile di spegnerlo: in particolare, difendendo ovviamente i propri e altrui diritti di opinione, ma evitando di avventurarsi lungo una china che presenta un piano fortemente inclinato, sul quale si finisce di rotolare inesorabilmente e sempre più velocemente.

Questa china è costituita da comportamenti che, partendo a valle dal dissenso e dalla critica, salgono attraverso l’ironia, la satira e il sarcasmo, per raggiungere le vette dell’insulto e della violenza, verbale o fisica. E poiché il passaggio da una manifestazione all’altra è graduale, è facile degenerare senza accorgersene in quello che in inglese viene chiamato character assassination, e in italiano “assassinio mediatico”, in cui la vittima sacrificale può variare dal massimo profeta di una religione al suo minimo seguace, specifico o generico.

In questo spettro fuzzy è spesso difficile situare con precisione certe espressioni, come le vignette di Charlie Hebdo, che hanno avuto a più riprese conseguenze tragiche, nell’immediato e a distanza: si trattava appunto di ironia, di satira, di sarcasmo o di insulto? E queste varianti rientrano tutte in quello che viene genericamente definito “diritto di satira”, oppure solo alcune?

Inoltre, lo stesso diritto va difeso solo quando il bersaglio è la religione altrui, nel caso specifico l’islam, o anche quando gli strali vengono rivolti verso la nostra, cioè il cristianesimo? In Francia la questione non si pone, perché il clero era il primo dei tre stati contro i quali si è fatta la Rivoluzione Francese, e il risultato è che ora il paese è laico, nel senso più profondo del termine: cioè, tratta allo stesso modo tutte le religioni, compreso il cristianesimo. E così facevano e fanno le vignette di Charlie Hebdo.

Ma in Italia la questione si pone, eccome, perché noi la laicità non sappiamo nemmeno cosa sia. Le istituzioni e i media sono pieni di baciapile dilettanti o professionisti, che fanno agli altri (i non credenti, o i diversamente credenti) ciò che non vogliono che sia fatto a loro. Persino un libro come lo spassoso Dizionario filosofico di Voltaire sarebbe attaccato come antisemita e anticristiano, se fosse pubblicato oggi, così come fu attaccato nella Francia prerivoluzionaria quando fu pubblicato allora, e infatti così continua ad essere presentato ancor oggi da noi. E persino le imitazioni di Maurizio Crozza del papa furono sospese, anni fa, quando da oltre Tevere arrivarono voci di mancato gradimento.

A questo proposito, però, la satira mantiene i suoi diritti anche quando si rivolge non tanto alle opinioni religiose, che sono tutte ridicole allo stesso modo, quanto ai fatti scientifici, che sono invece gli unici degni di essere difesi e diffusi? Quando Carlo Rovelli, il massimo divulgatore scientifico italiano, viene presentato da Crozza come una macchietta che dice cose strane o assurde, non si finisce forse con il non rendere giustizia non tanto allo scienziato, quando alla scienza, cioè alla nostra unica ancora di salvezza?

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