Gaza e il “genocidio”, non risolvere con la retorica ciò che va risolto con la politica

La discussione sulle parole che ha animato la crisi della coscienza occidentale di fronte allo stillicidio di Gaza va certamente presa sul serio. Non è affatto vero che le parole sono solo parole e che la disputa sul genocidio sia solo verbale. Ha ragione Federico Zuolo a dirlo. E sensato è anche il punto di vista di Luca Lo Sapio, che invita a riflettere sulle molteplici interpretazioni e realizzazioni della logica genocidaria. Proprio per queste ragioni, però, va forse messa in luce un’altra argomentazione contro l’uso della parola “genocidio”, che non deriva dall’unicità dell’Olocausto, ma discende piuttosto dai presupposti logici del genocidio come pratica. Nella sua accezione più incontroversa, il genocidio è l’annientamento di un gruppo etnico, contraddistinto da caratteristiche comuni di sangue o di destino. Il genocidio non è la guerra fra nazioni intese come entità politiche. Se lo fosse, tutte le guerre di conquista sarebbero un genocidio. Per dire: lo sarebbe anche l’invasione dell’Ucraina in nome di un progetto politico di espansione. La premessa del genocidio, invece – condivisa da chi lo perpetra e da chi lo condanna – è che esistano popoli o gruppi etnici o comunque caratterizzati da identità pre-politiche. Genocidio Categorie e convinzioni Considerata da questo punto di vista, la categoria del genocidio non può che essere rivendicata dagli ebrei, nella cui religione compare la nozione di “popolo eletto”. È comprensibile che intellettuali di origine ebraica, persone che professano la religione ebraica, testimoni della Shoah rivendichino l’unicità del genocidio – o almeno rivendichino l'unicità del genocidio perpetrato da Hitler nelle camere a gas. Unico è il genocidio della Shoah come unico è il popolo ebraico. Non riconoscere quel genocidio come episodio unico potrebbe significare non riconoscere il posto nel mondo e nella storia del popolo ebraico. E, tuttavia, da un punto di vista laico, che rivendichi la necessità di un universalismo dei diritti che pure rispetti l’identità di nazioni intese come entità politiche, la categoria del genocidio rimane scomoda perché mobilita l’idea che i popoli da distruggere o da salvare dalla distruzione siano gruppi etnici con identità fisse legate alla loro essenza, al loro destino storico o peggio alla loro biologia. Concedere questa premessa, pur volgendola al fine di rispettare e salvare popoli e membri di essi, pur animati dall’intenzione di dire “mai più!”, pur volendo denunciare la gravità assoluta di quanto sta succedendo a Gaza potrebbe essere pericoloso. Uno sterminio di massa compiuto violando tutte le norme del diritto internazionale, tutte le norme del diritto naturale, tutte le norme dello ius ad bellum e dello ius in bello costituisce già un crimine e un misfatto morale di gravità inaudita, senza bisogno di schierare popoli l’uno contro l’altro, senza bisogno di accusare un popolo inchiodandolo alla sua identità presuntamente essenziale di volerne annientare un altro. L’uccisione di un singolo palestinese diventa più grave se il progetto è quello di uccidere tutti i palestinesi? La negazione del diritto all’autodeterminazione politica dei palestinesi è più ingiusta perché portata avanti farneticando sull’annientamento del popolo di Gaza? Esistonoi“genocidi” alplurale Parole e azioni Le parole servono per avere chiarezza su colpe e meriti, per orientare l’azione, il diritto e la politica internazionali. Indicare con precisione quello che sta avvenendo è il primo passo per fare qualcosa. Ma proprio perché l’uso delle parole è necessario a guidare l’azione ed è il dovere principale che compete a noi che, comodamente seduti sul divano occidentale, contempliamo lo sfacelo di cui siamo complici morali, dobbiamo esercitare la massima cautela e il massimo rigore e non farci prendere dalla tentazione di risolvere con la retorica ciò che va risolto con la politica. Le parole sono preziose ma anche pericolose. Hanno un loro potere proprio e una loro capacità di azione autonoma. Possono spingerci là dove non vorremmo. La soluzione di una guerra religiosa deriva da un approccio non religioso. La soluzione di una guerra nazionalista deriva da un approccio non nazionalista o almeno non di nazionalismo etnico. Genocidio e pulizia etnica: Israele sconfitta dalle parole