Dal momento che per qualcuno la mafia siciliana è ormai sconfitta e conta come una qualsiasi banda criminale delle periferie romane, c'è chi ha avuto la brillante idea di abolire l'antimafia. Perché si sa, per la prima volta l'ha detto Luciano Liggio in un'aula parlamentare e per la seconda volta il senatore Marcello Dell'Utri in un talk show, se esiste l'antimafia esiste (forse) anche la mafia. Non essendoci l'una - è ovvio - non può esserci l'altra.

Suggestioni e giochi di parole a trent'anni dalle uccisioni di Falcone e Borsellino, l'annniversario però c'entra e non c'entra, questi discorsi e questi pensieri si rincorrono stagione dopo stagione ogni qualvolta la mafia non si manifesta all'esterno con la violenza delle armi e quindi non si vede, non crea problemi di ordine pubblico e di sicurezza, non dà fastidiose preoccupazioni ai ministri dell'Interno.

Senza sangue non c'è mafia. Ed è la più colossale balla che si possa raccontare, come la raccontavano negli Anni Sessanta e Settanta anche i procuratori generali di Palermo e gli uomini politici del tempo quando in Sicilia non si sparava un colpo. E intanto i Corleonesi di Totò Riina stavano dando l'assalto all'Italia.

Non crediamo che in Sicilia e nell'intero paese possa accadere più ciò che ha scatenato la mafia terroristica tre decenni fa, crediamo però che la mafia sia tornata mafia, silenziosa, subdola, capace di infiltrarsi come prima nei gangli degli apparati e più di prima nell'economia e nella finanza.
Su Libero, cogliendo l'occasione della nomina a procuratore nazionale Antimafia di Giovanni Melillo, Filippo Facci ha scritto un commento dove ci spiega «perché l'Antimafia non serve più a niente». Voluta da Giovanni Falcone nel 1991, sostiene Facci, la struttura oggi distribuisce solo poltrone. E' inutile, da cancellare. Come d'altronde la commissione parlamentare antimafia che «dal 1962 macina carta», come le “misure di prevenzione” che provocano danni a cittadini e a imprese. Insomma è «l'antimafia che è diventata una mafia».

Sono semplificazioni, la banalizzazione di un problema (che c'è ed è grande) utilizzando un linguaggio ordinario che scade nel luogo comune. Come l'antimafia che “ammazza l'economia”.

Ci fa venire in mente due vicende. La prima risale al 1979, quando il giudice istruttore Falcone inizia a indagare su Rosario Spatola e sui suoi affari - non c'erano ancora morti per le strade di Palermo - e il primo presidente della Corte d'appello Giovanni Pizzillo convoca nella sua stanza il consigliere istruttore Rocco Chinnici che era il diretto superiore di Falcone. E gli dice: «Voi con queste indagini state rovinando l'economia siciliana, carica di altri processi quel Falcone perché tanto, da quando mondo è mondo, i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla».

Viva la mafia, viva Ciancimino

La seconda è una manifestazione degli edili a Palermo di qualche anno dopo, in migliaia che sfilano per le vie del centro portando sulle spalle le bare del sindaco Leoluca Orlando e del suo vice Aldo Rizzo, in testa i leader dei tre sindacati. E dappertutto striscioni con su scritto: «Con l'antimafia non si mangia», «Viva la mafia che dà lavoro«, «Viva la mafia e viva Ciancimino».
Chi scrive, in questi anni non è stato molto tenero con l'antimafia sociale e neanche con quella giudiziaria, evidenziandone le storture, i vizi, in alcuni casi anche le ingordigie e la mancanza di un sapere che ha impedito a quell'antimafia di riconoscere il nemico.

Altro però è sostenere che le procure non devono necessariamente restare super, che una certa legislazione anticrimine non sia più fondamentale, che le associazioni siano tutte scatole vuote per mantenere nullafacenti.
Seguendo questo ragionamento spinto al paradosso ma nemmeno tanto, dopo la procura antimafia e la commissione parlamentare antimafia potremmo anche smantellare le distrettuali, tanto che ci fanno lì se non c'è più la mafia? E poi i reparti d'eccellenza di polizia e carabinieri e finanza. E poi ancora, perché no, cancellare il reato di associazione mafiosa che in questo 2022 compie quarant'anni a settembre.
Ci vuole misura quando si affrontano certi temi. E' vero che una “questione antimafia” c'è, molti ci hanno marciato. E anche dentro i Palazzi di Giustizia. Ma quella che è scomparsa è solo la mafia delle stragi, non la mafia.

L'antimafia dovrebbe guardarsi dentro meglio, dovrebbe riflettere sui propri errori invece di scaricare ogni colpa sempre all'esterno, dovrebbe correggere antiche e cattive abitudini. E, in alcuni casi, fare anche un po' di pulizia al suo interno. Così gli attacchi sconclusionati finirebbero nel vuoto.

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