Nei giorni scorsi Giorgia Meloni è intervenuta nei due rami del parlamento con toni di voce altissimi che non si sono mai uditi nel nostro parlamento da parte di un primo ministro. Pareva parlasse ai suoi elettori dal balcone di piazza Venezia. Ma un premier non deve e non può più comportarsi come il capo del suo partito.

È il primus inter pares dei ministri con il compito di governare un paese. È appena tollerabile che urli un membro del parlamento perché parla come rappresentante di partito, anche se uno stile sobrio è sempre preferibile per rispetto delle istituzioni. Ma il capo del governo deve convincere la parte opposta con argomentazioni basate su dati certi e inoppugnabili, non con un alto valore di decibel.

Non abbiamo mai sentito interventi così violenti da Giulio Andreotti, Romano Prodi, Bettino Craxi, Giuliano Amato, Mario Draghi quando erano presidenti del Consiglio. Neppure da Silvio Berlusconi che non era certo un maestro di stile.

Stile e formazione professionale

Lo stile è qualcosa che va oltre all’apparenza, affonda le sue radici nella profondità dell’essere umano. È allora normale che il proprio stile dipenda anche dalla propria formazione professionale. Andreotti, dopo la laurea in giurisprudenza, aveva cominciato la sua vita politica con Alcide De Gasperi, laureato in lettere all’università di Vienna.

Prodi e Amato erano docenti universitari con esperienze accademiche internazionali. Bettino Craxi aveva conseguito il diploma di liceo classico poi ebbe due lauree ad honorem. Silvio Berlusconi era laureato in giurisprudenza. Mario Draghi si laureò in economia con Caffè poi la sua formazione si sviluppò soprattutto in Bankitalia, prima di andare alla Bce. Fino agli anni Novanta molti membri del governo erano docenti universitari, o comunque con una solida preparazione culturale a livello universitario.

Anche negli altri principali paesi europei esiste una tradizione di primi ministri con una solida preparazione professionale. Rishi Sunak, attuale primo ministro inglese, ha una laurea in economia alla Stanford Graduate School of Business ed è stato Cancelliere dello scacchiere, cioè ministro dell’Economia.

Emmanuel Macron viene dalla famosa Ena (École National d’Adminitration) dopo una laurea in filosofia e un master in amministrazione pubblica. Si è formato nel mondo bancario. Angela Merkel ha compiuto i suoi studi a Templin e all'Università di Lipsia, dove ha studiato fisica dal 1973 al 1978. Successivamente ha frequentato e lavorato all'Istituto Centrale per la Chimica Fisica dell'Accademia delle Scienze a Berlino-Adlershof dal 1978 al 1990. Solo dopo è entrata in politica con Helmut Kohl. Olaf Scholz, attuale cancelliere, è un avvocato specializzato in diritto del lavoro. Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez è un economista.

Non è tassativo che a maggiore formazione culturale corrisponda uno stile più raffinato, ma la frequentazione del mondo accademico o dei rapporti internazionali possono aiutare a uno stile che diventa sostanza nel momento in cui si vogliono raggiungere certi obiettivi come quelli che l’attuale governo intende raggiungere a livello europeo o mondiale.

Le esperienze di Giorgia Meloni

Giorgia Meloni, dopo il diploma di maturità linguistica, inizia subito la sua esperienza politica come responsabile nazionale di Azione Studentesca e nei movimenti giovanili di Alleanza Nazionale. Diventa poi presidente della Giovane Italia. È stata ministra nel governo Belusconi per poi arrivare nel 2012 alla fondazione di Fratelli d’Italia assieme a La Russa e Crosetto.

È anche giornalista professionista, ma questo non le impedisce di attaccare i suoi colleghi giornalisti che osano criticare il governo. Come detto, una solida preparazione professionale, soprattutto in contesti internazionali, aiuta a presentarsi con uno stile di elevato livello, altrimenti si possono sì avere rapporti con altri capi di stato, come sta avendo Meloni, ma gli esiti di tali incontri sono spesso risultati fallimentari.

I fallimenti del governo Meloni

Un fallimento ormai accertato è stato l’accordo col presidente tunisino sui migranti che non è servito a niente. Poi il disastro di Cutro, una delle pagine più vergognose del nostro paese. C’è un severo richiamo dell’Unione europea perché il Pnrr non prevede una efficace lotta alla evasione fiscale. Altro richiamo dell’Ue riguarda le concessioni ai balneari non messe a gara.

L’Italia risulta essere non solo in violazione delle normative comunitarie in materia di concorrenza, ma pure in contrasto con due sentenze della stessa Corte di giustizia. Il regime di rinnovo automatico, per di più decennale, non è compatibile con il mercato unico e il suo funzionamento. Per la nomina del presidente della Banca europea degli investimenti l’Italia è arrivata terza, dando l’impressione di non contare niente per le nomine importanti.

È stato perso l’Expo a Roma con soli 17 voti su 182, contro i 119 di Riad che ha vinto. Infine, anche l’accordo con l’Albania per i migranti è stato fermato dalla Corte costituzionale albanese.

Ridicola è poi l’affermazione che grazie a questo governo abbiamo recuperato consenso a livello internazionale rispetto al governo Draghi. Resta anche una posizione sempre critica verso l’Europa assieme all’Ungheria di Orbán che è rimasto l’ultimo paese del gruppo di Visegrád abbandonato anche dalla Polonia, in un momento in cui diventa sempre più forte la spinta verso gli Stati Uniti d’Europa, ponendosi così fuori dalla storia.

È chiaro che Meloni e il suo governo preferiscono un’Europa delle piccole patrie che non contano nulla nel contesto mondiale. Per carità di patria dimentichiamo tutte le volte che la presidente Meloni ha fatto marcia indietro. Un ritratto, quello della nostra prima ministra, che rispecchia quello dei parenti, amici e benefattori che si è messa di fianco per governare questo paese. Le premesse per il fallimento ci sono tutte.

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