Tutti sanno che sono presidente dei Conservatori europei, e che tra i partiti esteri all’Europa che aderiscono ai conservatori ci sono anche i repubblicani americani, quindi le mie preferenze sono note», ha sentenziato Giorgia Meloni in una recente intervista con Chi rispondendo a una domanda sulle elezioni presidenziali americane.

Del candidato repubblicano alla presidenza Meloni torna a parlare dopo anni di silenzio e dopo aver rotto l’alleanza in fieri con i popolari votando contro la rielezione di Ursula von der Leyen. Un sostegno velato all’ex presidente populista che mostra al solito una Meloni che vuol giocare con l’ambiguità: posizione prudente ma con chiaro indirizzo sulla parte del campo dove la presidente del Consiglio vorrà giocare nei prossimi anni.

Una sfumatura che ricorda molto la postura assunta da Meloni al Cpac, la convention mondiale della destra conservatrice organizzata dai repubblicani americani, del 2022, quando parlava da presidente del Consiglio in pectore. Dopo anni di sovranismo duro e puro, la leader di Fratelli d’Italia aveva scelto sì di presenziare al Cpac, ma con un discorso più moderato, omettendo Trump, dosando l’euroscetticismo, schierandosi a sostegno dell’Ucraina.

L’ascesa verso Palazzo Chigi era alle porte e sarebbe stato sconveniente essere associati in modo palese all’uomo che, a seguito della mancata rielezione, aveva dato via libera all’invasione del Campidoglio. Meloni all’epoca doveva rendersi presentabile all’establishment europeo, dissociarsi dalle accuse di estremismo, calibrare la sua azione di governo ai vincoli esterni italiani. È stato così per quasi due anni, fino al voto di qualche settimana fa che ha messo Fratelli d’Italia all’opposizione in Europa.

Cosa pensano negli Usa

Nell’entourage di Trump non si sono dimenticati di questa piroetta. Qualche mese fa Steve Bannon, una delle eminenze grigie di Trump, ospite in Italia aveva dichiarato: «A me piace Giorgia Meloni, ma lei si è piegata troppo sulla linea della Nato. Sta giocando con i globalisti». Un segnale chiaro che i primi interlocutori italiani di Trump restavano Matteo Salvini, da anni smanioso di agghindarsi come un fedele trumpiano, e Giuseppe Conte, che infatti continua a fare il pesce in barile sulle elezioni americane.

L’eccesso di moderazione della premier non è piaciuto al populismo americano, e c’è anche chi ha insinuato che la rottura con von der Leyen perpetrata da Fratelli d’Italia fosse fondata su un calcolo politico che conteneva anche la probabile rielezione di Trump. Oggi dunque, dopo l’interruzione del processo evolutivo verso una destra europea di governo, Meloni torna ad aprire all’ex presidente populista. Un’apertura timida, come si è detto, ma pur sempre tale. Tattica che serve alla presidente del Consiglio per mostrarsi a Trump come il meno ostile dei governanti dei grandi paesi da questo lato dell’oceano.

Come nel caso delle elezioni europee, Meloni cerca dunque di mettersi nel mezzo tra i partiti europeisti e i trumpiani d’Europa come Orbán, Le Pen e Salvini. Dopo le europee però questo gioco non ha più funzionato, perché tutti hanno chiesto alla premier di giocare a carte scoperte, lei ha preso tempo, e alla fine è rimasta col cerino in mano, giocando male le sue carte sia con gli europeisti che con i patrioti.

Nel caso della rielezione di Trump il film può ripetersi, con i leader europeisti che chiederanno a Meloni di far fronte comune e quelli di destra nazionalista che, puntando sulla sua origine politica, la presseranno per aderire senza riserve alla linea trumpiana.

A quel punto per Meloni restare nel mezzo senza pagare un prezzo da una parte o l’altra dell’Atlantico si rivelerà complicato. Ciò sempre che Trump vinca, poiché, dopo la messa da parte di Biden, egli non è più il favorito, sondaggi alla mano. E il rapporto tra Meloni e Kamala Harris è a oggi un salto nel vuoto.

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