Nel mondo delle economie mature è in voga il fenomeno della grande dimissione dal lavoro. Migliaia di lavoratori si licenziano per cercare una nuova occupazione più remunerativa o per migliorare la loro qualità di vita. Viene meno il workaholism, la dipendenza dal lavoro, a tutti i costi, in favore dello smart working.

L’idea che la pandemia ci ha infuso è che sia preferibile lavorare in maniera meno pesante, ad esempio evitando ore di trasferimento in auto o sui trasporti pubblici. Non tutti possono permetterselo ma i dati dimostrano che anche una buona parte della lower middle income class (ceto medio basso) si avvii su questa strada. Si tratta di una sorpresa per tutti gli analisti che invece si aspettavano un boom occupazionale, soprattutto nei paesi in cui il mercato del lavoro è più flessibile.

Giovani e donne

Foto Claudio Furlan/LaPresse 28-02-2019 Milano, Italia cronaca Nuova sede Fastweb Symbiosis in Piazza Olivetti

L’impressione è che sempre più cittadini stiano ripensando gli spazi e i tempi della propria vita in senso più protettivo e intimista. Il fatto che in Italia la disoccupazione sia scesa sotto il 10 per cento ma ciò non valga per le donne è significativo.

Al di là dei noti limiti oggettivi del nostro mercato del lavoro, c’è da chiedersi se molte donne siano ancora alla ricerca di occupazione visti i bassi salari. La lamentela di imprenditori e commercianti trova qui il suo limite: in Italia le remunerazioni sono troppo basse e gli orari di lavoro troppo lunghi per attirare i giovani e le donne.

Antichi vizi

Così la novità della grande dimissione si mescola con gli antichi vizi italici. Anche quando si parla di rivedere il reddito di cittadinanza (Rdc) ci si concentra solo sul tema del lavoro.

Da una parte c’è chi sostiene che il Rdc non crea occupazione; dall’altra c’è chi denuncia il Rdc come creatore di oziosi “divanisti” cioè di giovani che preferiscono percepire il sussidio pur di non lavorare. Si tratta di semplificazioni: guardando attentamente le cifre ci si rende conto che il Rdc serve in gran parte a chi non può lavorare. Si tratta di una misura contro la povertà che non provoca penuria di lavoratori.

Per ciò che concerne i giovani, il Rdc si insinua nel sottile confine tra avviamento al lavoro e sfruttamento. Se fossimo in un altro paese europeo avremmo dati più chiari ma in Italia tutto si confonde perché tale confine è incuneato per lo più nel sommerso, la cui vitalità è decantata da molti esperti come positiva caratteristica italiana, ma che rappresenta in realtà un grande male.

Senza tutele

La conseguenza è che per certi giovani è meglio prendere qualche centinaia di euro del Rdc piuttosto che farsi sfruttare (magari con qualche euro in più) da datori di lavoro che mai li metteranno in regola.

Inutile essersi lamentati quest’estate della mancanza di operatori delle spiagge o raccoglitori di mele: da tempo i giovani italiani (magari senza grande istruzione) hanno capito che è meglio andare all’estero a fare il barista che farsi sfruttare in Italia dove non c’è prospettiva di occupazione futura, di stabilizzazione o ancor meno di carriera. Soprattutto non ci sono tutele di alcuni tipo e se hai qualche problema vieni buttato fuori subito e questo vale per italiani e stranieri.

Lo stesso male

Sarà considerato vitale dai macro-economisti ma sul settore del sommerso va detta la verità: nel “nero” si concentra il massimo in quanto a sfruttamento della manodopera e assenza di tutele. Abbiamo perso l’occasione del lockdown per metterci in regola cioè per pretendere dal settore dei servizi, dell’edilizia, del turismo e dell’agricoltura di mettere tutti in regola per poter ricevere i famosi ristori.

È noto che molti sono falliti perché non hanno potuto dimostrare né fatturato né lavoratori occupati, senza poter percepire nulla: avevano operato al nero e con i fuori-busta.

In assenza di un vero strumento di avviamento al lavoro efficace, scegliere il Rdc non è abuso ma buonsenso. Senz’altro qualcuno tra i ragazzi italiani ne ha approfittato (non certo i clandestini che il Rdc non possono nemmeno chiederlo), magari facendo qualche lavoro al nero, ma si tratta sempre dello stesso male. Lo abbiamo tollerato per decenni ed ora sarebbe ipocrita scandalizzarsi.

Migrare al nord

Detto questo occorre alzare lo sguardo per comprendere che il problema non è solo nostro ed è molto più ampio. In Europa la penuria di manodopera è estesa e generalizzata. Logistica, settore alberghiero e immobiliare, settore digitale, quello dei servizi alla persona o dei trasporti: una mancanza di personale si fa sentire ovunque in Europa. Mancano con urgenza autotrasportatori, rendendo più difficile la spedizione delle merci e frenando la ripresa.

In Danimarca (dove non esiste il sommerso) il 21 per cento delle grandi imprese ha dovuto rinunciare a ordini in mancanza di manodopera. In Svezia i ristoranti hanno tagliato i menù e diminuito gli orari. Ciò che sta avvenendo in molti paesi europei è che i datori di lavoro alzano i salari per attrarre lavoratori o tenerseli.

Malgrado la disoccupazione aggiuntiva creata dalla pandemia e dai lockdown, il fenomeno sta generalizzandosi: i lavoratori vogliono essere pagati meglio e in maniera trasparente. Ciò sta provocando spostamenti interni in Europa e, per quanto ci riguarda, non stupirebbe un aumento delle migrazioni di nostri giovani verso nord.

Cambiamenti

Lamentarsi non serve: se pagati meglio e stabilizzati i nostri giovani resterebbero. In generale tutti gli imprenditori e commercianti europei si lamentano di ricevere poche risposte alle loro offerte di impiego.

Si è creata anche una concorrenza tra settori: la grande distribuzione e quella online (come Amazon ecc.) è riuscita a strappare molti lavoratori al settore alberghiero, innescando un cambiamento nelle abitudini dei consumatori che sarà bene analizzare. Per quelli che non ce la fanno rimane la gig-economy cioè i rider che ora l’Unione europea vuole far riconoscere.

Tutti ora si chiedono se le attuali trasformazioni saranno temporanee o strutturali. Alcuni settori come l’e-commerce o la modalità da asporto, hanno avuto un’accelerazione che non scomparirà. Altri settori strangolati dalle restrizioni stanno mettendo a segno un’impressionante crescita che li farà recuperare.

Dopo aver dovuto licenziare, i datori di lavoro europei si sono messi ad assumere tutti assieme creando un effetto moltiplicatore e competitivo. C’è chi pensa che tutto stia cambiando.

Allargando ancor di più lo sguardo sul mercato del lavoro mondiale, ci sono esperti che annunciano una penuria globale di lavoratori qualificati totalmente legata ai mutamenti demografici.

Nei paesi in cui la formazione è migliore mancano giovani che invece abbondano nei paesi in cui non ci si può formare. Secondo un’analisi di Le Monde, tale dinamica potrà provocare in Europa uno slittamento della forza negoziale in favore dei lavoratori dopo 40 anni di erosione dei salari e di sofferenza dei contratti collettivi. Potrà essere il momento della rinascita dei sindacati?

La guerra delle assunzioni

Dopo tanto neoliberismo diseguale, la “guerra delle assunzioni” potrebbe provocare un rovesciamento dei rapporti di forza. Basta pensare che ovunque in Europa mancano non solo camionisti ma anche tecnici del freddo e operatori del riscaldamento, logisti e tutti i mestieri del verde.

Quasi ovunque stanno aumentando i salari, solo in Italia si tollera ancora il precariato, il lavoro al nero, talvolta il lavoro servile (come nei campi), giocando al ribasso invece di cogliere l’opportunità di crescere. L’aspetto più drammatico è l’assenza di badanti e di altre figure dei mestieri di prossimità, accompagnamento o aiuto a domicilio.

Qui si innesta la grande questione migratoria: la chiusura delle frontiere europee sta provocando una penuria di manodopera in settori chiave per il nostro futuro, a cui si aggiunge in Italia il fallimento dell’ultima regolarizzazione. Certamente l’integrazione di stranieri è opera difficile che necessita di tempo e pazienza. Tuttavia siamo ancora in tempo per metterla in opera: tra qualche decennio gli europei saranno talmente invecchiati e indeboliti da non riuscire più a farlo. 

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