Sono appena tornato dalla Calabria per raccontare una delle indagini più importanti contro la ndrangheta condotta dalla Procura di Catanzaro guidata da un testardo “piccolo grande uomo”, il magistrato  Nicola Gratteri. 

Si chiama “Rinascita Scott” e sono talmente tante le persone rinviate a giudizio che a Lametia Terme hanno dovuto costruire una enorme aula bunker, l’unica capace di contenere centinaia di imputati e i loro avvocati del primo maxi processo che si svolgerà in Calabria a partire da metà gennaio.

Per quattro anni le forze dell’ordine hanno pedinato, ascoltato e registrato la vita della ndrangheta, dimostrando  come le ndrine guidate  dal boss di Limbadi Luigi Mancuso controllavano per intero  la vita politica, economica e sociale di Vibo e di tutta la provincia .

I loro “uffici” erano sempre aperti e la gente vi si rivolgeva per qualsiasi evenienza: dall’acquisto di un terreno, alla richiesta di prestiti, al recupero crediti, persino per ottenere il ricovero di un proprio parente  nell’ospedale.

Uno stato illegale parallelo che si avvaleva della collaborazione di decine di professionisti, imprenditori, avvocati, commercialisti, medici.

Dove era l’Italia quando i “bravi ragazzi” occupavano, non solo militarmente, una intera provincia? Non c’era e ha lasciato per decenni gli uffici del distretto giudiziario di Catanzaro del tutto sguarniti e gli ndranghetisti hanno dilagato.

Poi, nel 2016, a Catanzaro è arrivato come procuratore della Repubblica Gratteri e grazie alla sua determinazione ha ottenuto più magistrati e forze dell’ordine e  ha cominciato a lavorare portando a Catanzaro l’esperienza che aveva maturato a Reggio Calabria.

Una battaglia durissima che deve fare i conti con una corruzione profonda: gli interessi della ndrangheta hanno trovato occhi e orecchie tra i professionisti della giustizia, avvocati, forze  dell’ordine e persino  magistrati nel “sistema Catanzaro” che garantiva impunità e sentenze aggiustate anche agli ndranghetisti. I nemici di Gratteri non sono solo “fuori”, ma anche “dentro” il palazzo di Giustizia .

Ho deciso di raccontare questa storia  per una delle puntate di  Presadiretta perché mostra bene qual è la sfida dell’Italia che ci aspetta in questo 2021, un anno che si prospetta veramente    difficile: passare dalla chiacchiere ai fatti e ridurre la distanza enorme che c’è tra  le  parole del dibattito pubblico e le realizzazione concrete, una distanza insopportabile, la vera palla al piede dell’Italia.

Per anni gli operatori della giustizia, soprattutto quelli in prima linea contro la criminalità organizzata hanno lanciato l’allarme, ci hanno avvertito che quando lo Stato lascia un territorio la criminalità organizzata lo occupa immediatamente. E così è stato,non solo a Vibo Valentia ma in tutta Italia. Tante parole sul dovere dell’antimafia, troppi pochi fatti.   

Gli errori della seconda ondata

Lo vediamo con la battaglia della salute che ancora ci vedrà impegnati nel 2021. In un’altra delle puntate mostreremo le tante occasioni perse per attrezzarci all’arrivo della seconda ondata.

Se oggi dobbiamo registrare l’aumento dei numeri del contagio e quello giornaliero dei deceduti, è perché non siamo stati capaci di sfruttare i mesi che ci separavano dal “generale autunno” per implementare i servizi di tracciamento, isolamento e ricostruzione delle catene epidemiologiche . E quando i numeri sono saltati ci siamo ritrovati nella situazione del marzo,aprile del 2020: con i reparti Covid e le terapie intensive piene  e una quota di morti in più determinata dall’impossibilità di gestire numeri così alti.

Eppure si era scritto e detto, ai più alti livelli della politica e della scienza: non si contiene una pandemia negli ospedali,  occorre una forte Medicina del Territorio , bisogna implementare i Dipartimenti di Prevenzione, ci vogliono più medici e infermieri . Sono rimaste parole , ancora una volta, per l’incapacità del sistema Italia di mettere in opera  velocemente, persino quello su cui tutti sono d’accordo, a fronte peraltro di risorse stanziate.

Oggi abbiamo uno strumento in più, il vaccino e di questo dobbiamo ringraziare la ricerca scientifica che in tutto il mondo è riuscita a realizzare un vero e proprio miracolo.

La sanità pubblica uscirà comunque  con le ossa spezzate, come testimonia l’aumento esponenziale di decessi dovuti a tutte le patologie, certificato dall’Istat che calcola dal 1 gennaio del 2020 ad agosto un più 8,6 per cento. Significa che mentre ci occupavamo del Covid aumentavano i decessi per tutte le altre patologie gravi, saltavano gli screening, gli interventi di elezione e si bloccava l’emigrazione sanitaria che aveva consentito a chi abitava nelle Regioni meno efficienti di farsi curare dove i livelli essenziali di assistenza venivano garantiti al meglio delle possibilità cliniche e al passo con il progresso della ricerca.

Quando metteremo mano a portafoglio e idee per riformare davvero il servizio sanitario nazionale, dopo 10 anni di tagli che lo hanno messo in ginocchio?

Quando coglieremo l’occasione della sfida che ci ha lanciato il coronavirus per aumentare le risorse su prevenzione e territorio ? Come mettiamo mano allo scandalo di avere tante sanità diverse a seconda della regione in cui si vive?  Da noi c’è sempre un “dopo”,  che rischia di non arrivare mai, o di arrivare troppo tardi.

© Riproduzione riservata