La solitudine è una questione di grande attualità nella stagione del Covid-19, che ci ha costretto a ridurre scambi, incontri, visite e contatti. La pandemia ha ricordato in modo potente a ognuno di noi sia la natura intrinsecamente sociale dell’essere umano, sia la sua fragilità e dipendenza dal rapporto con l’altro. Questo in un contesto relazionale già fortemente declinante: la generazione dei soli, giovani iperconnessi eppure poverissimi di relazioni interpersonali nel mondo reale è cresciuta in mezzo a noi con gli smartphone e i media. Lo afferma con studi rigorosi la psicologa Jean Twenge.

Si prepara un futuro senza relazioni sociali? Che l’uomo sia un animale sociale lo affermava già Aristotele nel IV secolo a.C. e lo riscoprono le neuroscienze oggi, nello studio delle interazioni profonde fra mente e aspetti cognitivi, culturali e sociali. Dagli anni Cinquanta crescono le evidenze scientifiche di come effettivamente isolamento sociale, inteso come povertà della rete di relazioni sociali, e solitudine come espressione soggettiva, siano entrambi fortemente associati a problemi di salute di varia natura. Alcune non recenti metanalisi assegnano alla “povertà” sociale il ruolo di potente fattore di rischio, del medesimo ordine di grandezza del fumo di tabacco.

Non mancano studi che dimostrano un eccesso di mortalità tra i deprivati sociali del 25-30 per cento fino al 70 per cento. E abbondano le evidenze dell’aumento delle malattie cardiovascolari e delle demenze, nonché di ansia e depressione, fra coloro che sono soli. Da diversi decenni le nostre società occidentali (ma anche quelle dei paesi orientali ed emergenti) vedono un continuo calo delle risorse sociali, quel ricco capitale di famiglia, amicizie, appartenenze che aveva contraddistinto i nostri paesi fino alla prima metà del Novecento. Siamo tutti più soli e la pandemia mette a nudo alcuni degli aspetti più tragici di questa solitudine, quello degli anziani chiusi nelle Rsa e nelle case di riposo, per i quali sono scattati meccanismi di protezione tali da impedire, nella loro già rarefatta rete, qualunque contatto, per mesi e mesi. Ne vedremo le conseguenze nel prossimo futuro ma è facile prevedere che accanto alla strage degli anziani da Covid se ne configuri un’altra: quella da abbandono.

Per chi è avanti negli anni, fragile nel fisico e nella mente, l’amarezza dell’isolamento colpisce in modo crudele e devastante. È rilevante, in questo senso, la circolare emanata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, su indicazione della Commissione per la riforma della assistenza agli anziani presieduta da mons. Vincenzo Paglia, un documento che chiede con vigore la ripresa delle visite e dei contatti, sia pure con le dovute cautele, nelle Rsa e nelle case di riposo.

La povertà sociale

È un inizio importante di cambiamento. Il Covid segna il trapasso ad una nuova epoca e molte cose dovranno cambiare. È come se fossimo divenuti consapevoli di questa seconda pandemia, quella della solitudine e dell’isolamento, che colpisce con violenza la vita dei più fragili ma non è buona nemmeno per ognuno di noi. Abbiamo tutti più bisogno di riscoprirci parte di una comunità e di un tessuto sociale più inclusivo e meno asfittico.

Le conseguenze della povertà sociale sono meno banali di quanto si pensi: guardiamo ad esempio al quadro demografico del paese, il cui declino mette in discussione previdenza ed economia, lavoro e ambiente. Da dove cominciare? Certamente da una nuova sanità di prossimità, presente sul territorio, vicina alle case ed alle persone, consapevole del valore delle reti. Ancor prima però sarà necessario partire da noi stessi, perché se c’è qualcosa che la pandemia ci ha insegnato è che le scelte di ognuno sono un fatto privato con ampie ripercussioni pubbliche: utilizzare le precauzioni raccomandate, certamente, o vaccinarsi, quando sarà il momento, solo per fare alcuni evidenti esempi. Ma si dovrà anche ripartire da scelte di amicizia e di vicinanza ai più deboli, ai più soli, ai più emarginati, perché è attorno alla loro condizione di bisogno che si potrà ricostruire un tessuto sociale rinnovato.

Avvertiremo le conseguenze del prolungato isolamento su giovani e anziani per molti anni a venire: basti pensare a quanto la situazione di tanti Neet – giovani che non studiano e non lavorano – sia stata in qualche modo esacerbata dalla pandemia. Insomma, ritessere e rammendare una rete sociale povera e lacerata è la prima scelta da compiere e darà un respiro collettivo e “politico” a ognuno di noi.

 

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