I nove stati che possiedono le 13.000 testate nucleari (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord) hanno ciascuno una dottrina militare che ne specifica l’eventuale utilizzo. Ma non è scritto da nessuna parte quello che potrebbe succedere “dopo”.

Così l’attuale minaccia nucleare russa per difendere territori ucraini annessi alla Federazione riporta il mondo sul limite dell’abisso.

C’è una dottrina che in ragione del “dopo” argomenta un rifiuto delle armi nucleari e arriva a delegittimare la stessa opzione della guerra, ed è quella del magistero cattolico.

Nello scontro in atto essa può sembrare uno svolazzo romantico digeribile dalle “anime belle”, inutile a fermare la guerra. Ma la logica di un disastro irrimediabile è forse più ragionevole?

Quale didassuasione?

Nell’arco di settant’anni il magistero papale ed episcopale ha via via smontato la necessità e la plausibilità dell’armamento atomico.

A partire dalla “dissuasione” che dice l’aspetto difensivo, ma ne oscura quello attivo. I paesi che hanno l’atomica non si sono mai limitati a “spaventare il nemico”, ma hanno elaborato una capacità positiva di combattere una guerra nucleare.

L’ambiguità è presente fin dall’origine come ha scritto mons. John C. Wester, arcivescovo di Santa Fe (Usa) nella lettera pastorale, pubblicata l’11 gennaio 2022 che porta il titolo Vivere alla luce della pace di Cristo.

Molti storici ritengono che la resa del Giappone fosse programmata per il 15 giugno 1945 e diverse personalità dell’amministrazione Truman erano contrari all’atomica. Il loro utilizzo rispondeva all’opportunità di dimostrare all’Unione Sovietica la superiorità militare americana.

Solo all’inizio degli anni Cinquanta si è diffuso il “mito” di una bomba atomica che avrebbe salvato un milione di vittime fra i soldati americani.

Fra il 1979 e il 1981 per quattro volte una simulazione di attacco sovietico è stato erroneamente inserito nella rete di allerta precoce americana.

Nel 1983 la prontezza di spirito  di un colonnello sovietico ha impedito che due segnalazioni false diventassero una risposta vera. Così nel 1995, sempre in Russia.  

La storia dell’opposizione all’armamento nucleare è stata avviata dalla Pacem in terris (1963) e dalla costituzione conciliare Gaudium et spes (1965). Ha conosciuto un significativo sviluppo nel magistero pontificio (interventi all’Onnu di Paolo VI e Giovanni Paolo II), nei messaggi per la giornata della pace (ad esempio quello di Benedetto XVI nel 2006) e nelle lettere episcopali di vari paesi negli anni Ottanta.

Quella americana del 1983 (La sfida della pace) ha avuto una ripresa, seppur in tono minore, nel 1993 e nel 2020. Quella tedesca del 1983 (Effetto della giustizia sarà la pace) è stata ricordata nel 2000 (Pace giusta). Un percorso che ha accompagnato il cammino delle Nazioni unite.

Il trattato di non proliferazione, firmato da 189 paesi ed entrato in vigore nel 1970, non è riuscito a impedire che stati “non nucleari” arrivassero alla bomba e che quelli che la possedevano alimentassero i loro arsenali.

Il Trattato di proibizione del possesso di armi nucleari, entrato in funzione nel 2021, non è stato firmato da nessuna potenza nucleare.

Oltre la guerra giusta

L’elaborazione teologica ed episcopale e le mobilitazioni di base si sono sostanzialmente fermate negli anni Ottanta del Novecento.

Sono rimaste attive la diplomazia vaticana e il magistero pontificio. C’è stato un progressivo superamento dell’idea della “guerra giusta”, ancora presente nel Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 (i nn. 2307 e ss.).

La ricerca è passata dallo ius ad bellum (diritto alla guerra) allo ius in bello (i diritti nella guerra), dallo ius post bellum (i diritti dopo la guerra) allo ius contra bellum (diritto contro la guerra).

La guerra peggiora le condizioni, non le risolve. È un male “assoluto” che va superato come si è superata la schiavitù.

Per questo Francesco scrive nel n. 258 dell’enciclica Fratelli tutti del 2020: «La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti... Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!»

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