Ottima cosa che Enrico Letta e Matteo Salvini si siano incontrati ed abbiano condiviso, per il momento, l’intenzione di sostenere il governo. Più problematico valutare che effetto questo può avere sul rapporto tra i due partiti. Perché il Pd è ancora in una fase difficile: con l’adesione al governo Draghi ha perso la sua mission.

Dopo la catastrofe del 2018, quanto meno sapeva cosa fare: una opposizione a testa bassa contro i populisti al potere. Da segretario, Nicola Zingaretti, grazie a questa politica, aveva riportato il partito sopra il 20 per cento e seppur lentamente lo stava ricostruendo dopo le devastazioni del ciclone renziano.

La strategia è stata interrotta bruscamente dall’ imperativo, imposto a un riluttante Zingaretti, di mandare all’opposizione Salvini, il pericolo pubblico numero uno dell’Europa. E così il Pd ha dovuto cambiare mission: essere la garanzia europeista, atlantica e democratica del nuovo governo, e far maturare in quella direzione i Cinque stelle.

Dopo un appeasment generale di gran parte della stampa, che apprezzava lo scampato pericolo, finita l’estate è incominciato un bombardamento a tappeto sul governo Conte reo di preparare in troppa autonomia il Recovery Fund. Ma tant’è.

In questa fase il Pd ha smarrito il senso della sua seconda mission: invece di difendere a spada a tratta il governo di cui faceva parte ha giocato di sponda con i suoi critici. In tal mondo ha finito per favorire la caduta di Conte. 

Zingaretti non ha avuto la forza di tenere il punto – o Conte o morte – e andare alle elezioni anticipate (e lasciamo stare la sciocchezza che non si poteva votare in pandemia: Olanda e Israele insegnano).

Si è dovuto accodare al nuovo governo Draghi perdendo così la sua ragion d’essere: non più guida dell’opposizione e nemmeno ispiratore e garante della maggioranza, il Pd diventava la ruota di scorta di una maggioranza oversize.

Il cambio di segreteria ha ridato ossigeno al partito, ma il problema della nuova mission rimane. Che ruolo vuole giocare il Pd? Sostenere convintamente il premier va bene, e rientra nel Dna dei democratici in quanto alfieri della responsabilità.  Ma se non fanno un passo oltre ponendo sul piatto i loro obiettivi, lasciano spazio alla Lega, oltre che a Fratelli d’Italia.

Entrambi sono già in vantaggio perché hanno ipotecato il futuro: a forza di rivendicare aperture e riprese di attività e commerci, prefigurano il ritorno alla vita, alimentano la speranza. La destra , tradizionalmente, guarda al passato ed ha un taglio reazionario: ma in questa fase è  “progressista” perché si presenta non agitando paure o chiusure come ha fatto fin qui con il  populismo xenofobo e securitario, ma aprendo porte e finestre al futuro, confidando in un mondo nuovo in quanto simile al passato.

La sfida per il Pd è alta: deve inventare una terza mission per disegnare anch’esso una prospettiva di speranza e contrastare così una destra riconfigurata e potenzialmente dominante.  

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