La Sicilia di oggi è uno specchio deformato. Riflette eroi di cartapesta che, prima o poi, fatalmente prendono fuoco. E quando bruciano tutto diventa sorprendente, sensazionale, clamoroso. In realtà c’è poco di inaspettato, non c’è da stupirsi più di tanto su certi personaggi che finiscono al rogo.

Le due storie sono profondamente diverse ma qualcosa in comune ce l’hanno alla radice: l’inganno.

Cominciamo dalla prima, quella di Daniela Lo Verde “donna coraggio” preside di una scuola intitolata al giudice Falcone allo Zen, periferia disperata di Palermo. I carabinieri scoprono che Lo Verde (“preside antimafia” la chiamavano, e già questo avrebbe dovuto suggerire maggiore cautela) dilapidava fondi europei per portarsi a casa computer e riforniva la sua dispensa con il tonno e il riso e persino il rosmarino destinati alla mensa dei suoi studenti.

Non vogliamo entrare nel merito dell’inchiesta perché, con tutte le intercettazioni video e audio raccolte dagli investigatori, non ne vale la pena.

La “donna coraggio”

La questione è piuttosto un’altra: chi l’ha trasformata in “donna coraggio”, chi ha creato il mito, chi l’ha elevata a sacerdotessa della legalità? La domanda non è retorica.

Se qualcuno avesse avuto appena un po’ di curiosità per capire cos’è stato lo Zen in questi ultimi anni, avrebbe scoperto che le più grandi associazioni di volontariato presenti in quella zona non hanno mai messo piede nell’istituto scolastico della famosa preside.

Più la sua figura veniva esaltata e più le organizzazioni di volontariato, gli enti di promozione sociale e le cooperative si allontanavano da quella scuola.

È ovvio che nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare dei furti di rosmarino e delle altre porcherie, ma ormai era invalicabile il muro che si era alzato fra la “donna coraggio” e il territorio. A Palermo lo sapevano tutti, perché il territorio racconta sempre tutto.

Eppure nella narrazione ufficiale quella scuola “era la luce” in mezzo “al buio” del quartiere. Tanto che, in piena emergenza Covid, Daniela Lo Verde è stata nominata dal presidente Mattarella cavaliera al merito della Repubblica italiana. Ci sono onorificenze che sono elargite con approssimazione. Anche Napolitano, qualche anno addietro, aveva insignito di tale lustro Calogero Montante, il vicepresidente di Confindustria che si stava divorando mezza Sicilia. Èla distanza che corre fra il verosimile e il vero.

La seconda storia che ha fatto scalpore riguarda Giancarlo Cancelleri, candidato a governatore della regione con i Cinque stelle, sottosegretario alle Infrastrutture nel Conte 2, legatissimo a Luigi Di Maio.

Tutti stupefatti, l’altro giorno, quando Cancelleri si è seduto dietro Renato Schifani alla convention di Forza Italia al teatro Politeama. Ancora più sconcertati per la sua intervista: «Mi ha accolto una famiglia di valori».

E subito dopo giù ingiurie nei suoi confronti, sui social un diluvio di “vergogna” e “traditore”, commenti che gli ricordavano come appena sei mesi prima avesse attaccato Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi in quanto «indagati per le stragi di mafia del 1993». Quel partito adesso è diventata la sua famiglia.

I travestimenti di Giancarlo

Ma nessuno, proprio nessuno, si era accorto prima dei tanti travestimenti di Cancelleri? Nessuno aveva prestato attenzione a come si era catapultato da rivoluzionario, al grido di "onestà onestà”, nei palazzi del potere italiano piazzando la sorella Azzurra in parlamento e il cognato come consulente al ministero dello Sviluppo economico?

Sembra che sia accaduto tutto in un momento, dalla notte al giorno.
Cancelleri è uno che, da sottosegretario, a Porto Empedocle aveva scambiato un’imbarcazione carica di migranti con una nave da crociera.

È uno che prima diceva che «il ponte non serve a nulla» e, dopo un breve soggiorno romano, diceva che «il ponte serve per la ripartenza dell’Italia». È uno che ha postato una foto su Facebook mentre mangiava un panino in zona rossa durante i mesi della pandemia. Non ce n’è mai stato solo uno di Giancarlo Cancelleri.

Perché allora questa meraviglia se ora ha trovato affettuosa accoglienza alla corte di Schifani? Perso il posto di magazziniere in una piccola impresa edile, venuta meno l’indennità parlamentare, come avrebbe mai potuto calare la pasta nella pentolone? Nei mesi scorsi ha flirtato con l’ex governatore Raffaele Lombardo, si è autocandidato come sindaco di Catania, ha aperto un dialogo con Totò Cuffaro, ha chiesto un incarico di portaborse al deputato regionale Cateno De Luca. E così, ormai sfinito, Giancarlo Cancelleri ha indossato la sua ultima maschera.

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