In Italia i diritti di proprietà sono tutelati molto meno che in altri Paesi. È quanto emerge dall’ultima edizione dell’Ipri – International Property Rights Index 2021 – pubblicata qualche giorno fa. L’indice globale, elaborato dalla Property Rights Alliance, misura il livello di garanzia della proprietà privata in 129 Paesi, con riguardo al “sistema politico e giuridico”, alla tutela dei “diritti fisici” e a quella dei “diritti intellettuali”. L’Italia si colloca al 44esimo posto della classifica complessiva, ma è al 74esimo posto per la tutela dei diritti fisici, dopo Moldavia, Honduras e Colombia. Al di là di quanto attestato dalla classifica, il fatto che in Italia la proprietà privata sia oggetto di scarsa considerazione da parte dello Stato, nonché spesso sacrificata nel bilanciamento con altri diritti, emerge da un serie di elementi concreti, che può essere utile esaminare.

La proprietà privata nella Costituzione

La Costituzione stabilisce che la proprietà privata è «riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale» (art. 42). È la “funzione sociale”, nelle sue varie declinazioni, ad aver contenuto nel tempo il pieno godimento della proprietà privata in diverse circostanze.

Negli ultimi anni, con il peggioramento della “questione abitativa” e, quindi, delle difficoltà nell’accesso alla casa, la giurisprudenza ha coniato un nuovo diritto: quello all’abitazione. 

Tale diritto, benché non espressamente menzionato nella Costituzione, ha comunque assunto rango costituzionale attraverso le sentenze della Consulta, che lo ha reputato «incluso nel catalogo dei diritti inviolabili» (ad esempio, sentenze n. 161/2013 e n. 61/2011).

Lo Stato deve «concorrere a garantire al maggior numero di cittadini» tale diritto, affinché «la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana» (sentenza n. 217/1988).

Tuttavia, quando il diritto di abitazione si scontra con quello di proprietà, ad esempio nel caso di occupazioni abusive di immobili, si crea una sorta di corto circuito. Sebbene il Codice penale sanzioni chiunque «invade arbitrariamente terreni o edifici altrui» (art. 633), negli anni la giurisprudenza - rifacendosi alle citate sentenze della Consulta sul “diritto alla casa” e su una concezione solidaristica del diritto di proprietà (art. 2 Cost.) - ha reputato non sanzionabile l’occupazione in una serie di situazioni qualificabili come “stato di bisogno”.

E così, nel bilanciamento tra il diritto degli occupanti e quello dei legittimi proprietari, quest’ultimo è risultato talora soccombente.

La “funzione sociale” della proprietà ha prevalso anche a opera del legislatore che, in una serie di circostanze, ha sospeso procedure di rilascio di immobili al termine della locazione, per favorire il diritto alla casa di alcune categorie di inquilini.

Il diritto di proprietà in pandemia

Il “diritto di abitazione” è stato valorizzato sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria attraverso il cosiddetto blocco degli sfratti. La sospensione - disposta nel marzo 2020 - dell’esecuzione di tutti i provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, sia per morosità che per scadenza contrattuale, ha costituito una delle tante misure adottate per fronteggiare l’emergenza. In quella fase, la sospensione era evidentemente giustificata da diverse e validissime motivazioni.

Da un lato, occorreva evitare che le attività esecutive incrementassero i contagi a causa dei contatti tra le persone. Dall’altro lato, i destinatari dei provvedimenti di rilascio rischiavano il peggioramento della situazione di difficoltà – per molti anche di tipo economico - determinata dall’inizio della pandemia, oltre al problema di reperire un’altra casa in una fase di limitazioni agli spostamenti personali.

Successivamente, tuttavia, la questione si è posta in termini diversi. Infatti, a partire dal maggio 2020, mentre tutti i diritti compressi nei mesi precedenti tornavano progressivamente a espandersi – in forza di istanze economiche e sociali che non potevano restare troppo a lungo sospese - quello di proprietà ha continuato a essere sacrificato.

La scadenza del blocco degli sfratti, prorogata di 3 mesi in 3 mesi a partire dal marzo 2020, ha continuato a essere ulteriormente prolungata di volta in volta, limitatamente agli sfratti per morosità, con scadenze varie, fino al 31 dicembre 2021.

Ciò è avvenuto senza considerare che, durante il blocco, il conduttore continua ad accumulare debito nei confronti del locatore, il quale avrà maggiori difficoltà ad ottenerne la restituzione al termine del blocco, magari trovandosi a propria volta in difficoltà economiche.

È dovuta intervenire la Corte costituzionale (sentenza n. 213/2021), nel novembre scorso, per indicare un termine definitivo al sacrificio di tale diritto. La Consulta ha affermato che, se «l’eccezionalità della pandemia da COVID-19» ha giustificato la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, non può considerarsi consentita una proroga oltre 31 dicembre 2021 «avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando la sua funzione sociale».

Siccome le procedure esecutive degli sfratti sono farraginose – tra intervento dell’ufficiale giudiziario ed eventualmente della forza pubblica – per il rilascio degli immobili servono mesi.  Come affermato di recente dal Prefetto di Milano, «per concentrare le forze sul controllo del rispetto delle regole sul Green Pass, è stato deciso di sospendere gli sfratti fino al 15 gennaio del 2022». Ancora una volta, il diritto di proprietà deve cedere il passo.

I proprietari suppliscono alle carenze dello Stato

La poco lusinghiera posizione dell’Italia nella citata classifica sulla tutela della proprietà è dunque motivata. Lo Stato ha fatto carico ai proprietari di situazioni di vulnerabilità abitativa delle quali avrebbe dovuto occuparsi esso stesso.

Nei casi di difficoltà di soddisfare l’esigenza di una casa, se il sistema pubblico non fornisce risposte, attivando servizi per dare supporto alle fasce più deboli della popolazione (sussidi economici, ospitalità presso strutture pubbliche o convenzionate, edilizia economica e popolare), si finisce per “legittimare” forme di autotutela come l’occupazione di immobili altrui o altre ipotesi prevaricazione del diritto di proprietà.

D’altra parte, siccome lo Stato non protegge nemmeno i proprietari - anzi addossa loro compiti di assistenza sociale, come detto – essi a propria volta si autotutelano, con la richiesta di fidejussioni a garanzia dei pagamenti dei conduttori e il rifiuto di affitto a chi non possa dimostrare una solida condizione economica, peggiorando così la situazione di chi necessita di una casa. Insomma, un circolo vizioso – derivante dalla mancanza di uno Stato efficiente - che finisce per nuocere a tutti, nessuno escluso.

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