Cammino su una larga spiaggia. In novembre è completamente libera, bellissima. Rifletto sul governo Draghi, che ha rinviato la riforma delle concessioni balneari (ma per il Consiglio di stato la proroga di quelle attuali non può andare oltre il 2023). Rievoco la primavera dell’anno scorso, quando venne la regola anti-Covid di una distanza minima fra gli ombrelloni.

Ne parlai coi bagnini che valutavano il costo di quel vincolo, per loro e i loro clienti che in estate avrebbero avuto meno posti ma più spazio.

La ragione del vincolo era la difesa della salute, bene pubblico indiscutibile. Questo minimizzò le critiche al vincolo. E la spiaggia fu anche più bella e vivibile; dal mare i colori dell’entroterra, boschi e montagne, erano uno sfondo meno nascosto. Anche questa bellezza è un bene pubblico. Se la riforma delle concessioni prevedesse la distanza minima anche senza la pandemia? Dare importanza ai beni pubblici sembra cosa di sinistra: ma è un mistero se Draghi sia di destra o di sinistra.

Spiagge meno affollate

The picture shows the overcrowded beaches of Riccione and Rimini, Italy, 05 September 2006. Photo by: Matthias Schrader/picture-alliance/dpa/AP Images

Nel proseguire la passeggiata voglio solo servirmi dell’esempio della distanza fra gli ombrelloni per mettere in relazione i beni pubblici, la destra e la sinistra e il governo Draghi.

Introdurre una distanza minima può avere conseguenze diverse a seconda di tanti fattori: come reagiscono i prezzi degli ombrelloni e quindi come competono gli stabilimenti, anche per l’assegnazione delle concessioni, il guadagno dei bagnini, i loro impieghi alternativi così come le vacanze alternative di chi non troverà l’ombrellone.

Dipende anche dalle altre regole sulle spiagge: se, per esempio, dev’essere liberamente transitabile, anche da chi non ha un ombrellone, un’ampia fascia di battigia vicino al mare, la bellezza della spiaggia meno affollata sarà più liberamente fruibile da chiunque.

Per produrre beni pubblici, quelli che sono di tutti e insieme di nessuno, come la salute e la giustizia, occorre interferire coi mercati e le interferenze possono avere effetti collaterali costosi e complicati da valutare e maggiori del valore dei beni che si vogliono ottenere. Ed eccomi al tema destra-sinistra.

Destra, sinistra e beni pubblici

Credo che la differenza essenziale fra destra e sinistra stia nella valutazione dei beni pubblici. Per la sinistra i beni pubblici sono tanti e di gran valore. Per chi è di destra pochi beni sono pubblici e ogni possibile bene pubblico ha meno valore che per chi è di sinistra, anche perché si sente più individuo e meno parte di una società interconnessa.

Se sono più di sinistra che di destra gradisco una regolamentazione delle spiagge che valuta molto la loro bellezza come bene pubblico. Se son più di destra penso poco al bene pubblico e vedo ogni vincolo alla libera contrattazione fra bagnanti e bagnini come un ostacolo al loro perseguimento del bene privato.

Credo davvero che oggi il miglior modo di definire destra e sinistra sia la loro diversa percezione del numero e del valore dei beni pubblici. Anche perché pandemie, interdipendenze globali, interconnessioni digitali e scarsità delle risorse della terra ci stanno sempre più convincendo dell’importanza della questione dei beni pubblici, di quali e quanti siano davvero, di come valutarli, produrli, regolarli.

In teoria esiste il massimo della sinistra: tutto è bene pubblico; la stessa proprietà privata è illecita. E il massimo della destra: nulla è bene pubblico e c’è completo laissez faire. E mille sfumature intermedie.

Anche in vista della ricomposizione dell’offerta politica in corso mentre il governo è sostenuto da quasi tutti i partiti, è importante ripulire i termini destra e sinistra. Il problema della “bandierine” canzonate da Draghi non è solo che ostacolano lo sforzo di trovare largo consenso per riforme essenziali, ma l’incoerenza con cui sono usate.

Sicché i sindacati più tradizionalmente di sinistra finiscono ad allineare le loro proteste con quelle della Lega. L’estrema destra grida più forte contro l’emarginazione del popolino che per difender privilegi.

Il mercato è difeso più dal centro-sinistra che dalla destra. Le manette sono di sinistra e il garantismo più di destra: perché mai? Forse che la severità e le manette per l’ordine pubblico non sono di destra? A meno che a far disordine in strada non sia proprio la destra.

Carlo Calenda vorrebbe una politica industriale più interventista di Enrico Letta che si dice stargli a sinistra.

La permanenza delle concessioni balneari è difesa un po’ da tutti ma soprattutto da una destra che si dice più mercatista.

Che cosa c’è di destra nel volere che la gente vada in pensione prima? Forse che è di sinistra “stare dalla parte dei deboli” in un’epoca in cui, in tutto il mondo, i deboli crescono vertiginosamente di numero e tutti i politici cercano di accaparrarsene il consenso a costo di raccontare ogni sorta di frottole? Il riferimento ai beni pubblici può ridurre la confusione.

I confini, le tasse e l’eguaglianza

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La destra vuol respingere i migranti e, più in generale, valorizza quei confini della nazione che storicamente cercava un tempo perfino di allargare. Per ricondurre questo atteggiamento a una minor devozione al bene pubblico va detto che per sua natura quest’ultimo rifiuta i confini: essere pubblico tende a coincidere spesso con l’essere internazionale.

Il bene pubblico è anche quello del migrante, dell’altra nazione, della comunità mondiale. L’interesse nazionale ha un’assonanza cruciale con l’interesse privato. Marx e Engels volevano l’unione dei proletari “di tutto il mondo”; il comunismo, quando era vivo, era internazionalista.

Pare sia di destra voler meno tasse. Qui bisogna distinguere: se partiamo dall’idea che i debiti siano per sempre e i limiti ai deficit siano un’invenzione perversa degli economisti tedeschi, allora non vedo perché anche la sinistra non debba volere meno tasse, come infatti spesso succede. Ma se torniamo in terra e pensiamo che i debiti, buoni o cattivi che siano, abbiano limiti, voler meno tasse significa voler meno beni pubblici: ecco perché è “di destra”. 

La definizione di destra e sinistra più rilevante nella letteratura politologica dice che la sinistra preferisce una distribuzione più egualitaria del reddito, della ricchezza e, più in generale, del potere. Anche questa distinzione può ricondursi al criterio dei beni pubblici.

Per interesse personale vogliono l’eguaglianza coloro che hanno meno, siano di destra o di sinistra. Ma perché qualcuno può volere più eguaglianza indipendentemente dalla propria posizione nella scala delle fortune? Perché ritiene che una società più eguale sia più stabile, più governabile, più giusta anche nel senso che è più facile amministrarvi la giustizia, più prospera perché più armonica e omogenea nei consumi e più semplice da rifornire di servizi pubblici, e così via.

Insomma: l’eguaglianza, entro certi limiti, è un bene pubblico. Se chi è di sinistra è più sensibile nell’apprezzare i beni pubblici, ecco che l’eguaglianza diventa logicamente di sinistra.

Convergere per produrre beni pubblici

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In che modo può servirci, oggi in Italia, chiarire meglio che la tassonomia destra-sinistra riguarda la considerazione dei beni pubblici? Può servirci a cercar convergenze – anziché sbandierar contrapposizioni –nel decidere quanti, quali e come produrre quei beni, visto che in ciò consiste, e non in altro, governare un Paese.  

Proprio perché l’atteggiamento verso i beni pubblici è per sua natura graduabile, il compromesso è possibile, logico, individuabile quasi matematicamente. Dato che i beni pubblici sono anche complessi da produrre, perché per definizione non ci sono individui che ne percepiscano l’intero vantaggio, è solo con la convergenza che si può trovare forza e risorse per procurarseli.

I cartellini destra e sinistra possono rimanere, ed essere utili, senza diventar bandiere ostili, per strutturare la convergenza al governo della cosa pubblica cioè a un mix concordato di beni pubblici.

Sarà vero che Draghi si regge sulla debolezza dei partiti, che non è bella cosa in democrazia. Ma spiace resti in ombra l’aspetto opposto della situazione, molto positivo: la maggioranza eccezionalmente ampia che regge il governo è il risultato di un meritorio e acrobatico sforzo dei partiti per affrontare insieme i problemi indifferibili e gravi del paese, convergendo nel produrre beni pubblici. Fra i quali, prima o poi, speriamo vi sia anche qualche riforma delle concessioni balneari.

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