Gli spot usciti del Natale 2021 sono uno più sfasato dell’altro. Concepiti nei mesi precedenti, usciti nelle ultime settimane tra fine novembre e metà dicembre, passano in tv e sui social mostrando scenette famigliari e storie edificanti che sembrano appartenere a un’altra epoca o a un contesto completamente alieno da quello attuale.

Mentre i media aggiornano l’allarme sulla variante Omicron, negli spot vediamo un universo immaginario dove della pandemia e delle sue crisi non c’è nemmeno una lontano eco.

Tra marzo e l’estate 2020, la pubblicità si era tutta riconvertita al nuovo pantheon valoriale: empatia, resilienza, ripartenza e tanta, tantissima sicurezza. Dopo un anno e mezzo, al secondo natale con il Covid, la scelta più giusta dev’essere sembrata quella di ignorare completamente la realtà e di investire l’immaginario di un effetto nostalgia, provando a glassare tutto in modo dolce e armonioso.

Come se si potesse rievocare in uno schiocco quell’apoteosi mistica simboleggiata dallo spot per antonomasia: Hilltop della Coca-Cola (1971), non a caso il finale della serie Mad men. In Italia quello spot simboleggia il Natale come ecumenismo e la felicità radiosa del consumo multiculturale, la bottiglietta della Coca-Cola tenuta come una croce in mano intonando gospel dedicato al marchio; la sua traduzione arrivò in Italia negli anni ’80.

Ma c’è un’altra rimozione oltre quella della complicata attualità con le sue mascherine per esempio (non presenti in nessuno spot), ed è quell’antica ipocrisia per cui il Natale non è solo regali, consumo e shopping, ma anche attenzione ai poveri, con Gesù bambino che nasce in una mangiatoia, con il canto di Natale di Dickens che insegna a essere generosi anche ai più gretti tra gli avidi... Nessuno spot fa cenno alla povertà o invita a essere più buoni.

L’intimo di Tezenis si riduce a un jingle allegro con gli influencer Khaby Lame e Giulia De Lellis vestiti di rosso, quello di Intimissimi ha lo stesso modello: ci sono solo delle modelle.

Lo spot di Morellato con Aurora Ramazzotti è una microsfilata, il Natale diventa un accessorio come un altro, lucine colorate. La scarsa vena dei creativi dev’essere quella di provare a allungare dei video da tik tok per farli diventare spot.

Persino Babbo Natale e la sua generosità non servono più: i marchi fanno da sé. Amazon usa la solita retorica inclusiva – il protagonista è un disabile tontolone - per puntare tutto sull’efficienza della macchina logistica, sconti, velocità, convenienza.

L’obiettivo di Amazon è sempre lo stesso: la bambinizzazione, di testimonial e clienti; e Natale funziona come modello di consumo, perché ci si può rivolgere agli adulti come ai bambini. Nello spot delle scarpe antinfortunistiche Base gli operai della logistica usano e portano gli stessi regali, come se prima o poi tutti diventeremo operatori della logistica.

Nello spot di Expert c’è un Babbo Natale che si ritrova inutile perché in ogni casa che visita stanno già scartando i regali che ha portato Expert finché anche lui ne riceve uno: «Babbo, non te la prendere».

Ma l’umiliazione più grossa Babbo Natale la subisce nella campagna cringe che il comune di Milano ha voluto per promuovere il turismo in città durante il Natale – anche qui con un tempismo che solo la rimozione può giustificare, dopo una serie di campagne fallimentari su Milano che riparte.

Babbo Natale è un vecchio bolso e solo nella sua baita al polo nord; ascolta alla radio uno spot che lo invita a visitare Milano. In un istante si ritrova in galleria a fare shopping tra le vetrine milanesi, s’infila un piumino stretto invece del vecchio cappotto, si taglia i capelli da hipster, balla e fa un aperitivo dopo l’altro, si trasforma in una macchietta che secondo il sindaco Beppe Sala e la Wunderman Thompson che l’ha ideato dovrebbe scatenare il desiderio di imitarlo e farsi un weekend lungo natalizio in città. Mentre l’unico effetto che fa è di visitare l’Artico da soli e finire ibernati per sempre lì.

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