Cento docenti di filosofia (fra cui chi scrive), su iniziativa di Alberto Voltolini, hanno proposto quattro ragionevoli argomenti in difesa del green pass (Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre). Un altro collega, Luca Illetterati, ci ha severamente criticati da un blog molto frequentato. Ecco il cuore della critica: «All’argomento di Agamben che denunzia le implicazioni discriminatorie del green pass non si dovrebbe rispondere negando l’evidenza, ovvero, detto altrimenti, contrapponendo ideologia a ideologia. Una risposta forse un po’ più seria dovrebbe dire: sì, il green pass è una norma discriminatoria della quale dobbiamo farci carico, è una forma di “ingiustizia” della quale una società degna di questo nome in certi momenti è chiamata a farsi problematicamente carico, sapendo e dicendo che sta facendo una cosa del tutto fuori dalla norma. Una società responsabile è una società che riconosce esplicitamente le situazioni di deviazione che la sua sopravvivenza richiede. Si chiama – verrebbe da dire – politica, ossia capacità di assumere decisioni non garantite circa il loro esito, di intraprendere azioni che escono dagli automatismi di ciò che è già deciso».

Cioè: il green pass una forma di discriminazione illecita lo è, e bisogna ammetterlo anche se la si ritiene necessaria. Non so a voi che effetto fa: ma a me fa quello di un’istigazione a delinquere. No, io non mi faccio carico di «una forma di ingiustizia», una cosa «del tutto fuori dalla norma», una «norma discriminatoria»: riderei in faccia a chi mi venisse a dire che come cittadino ho il dovere di farmene carico, perché un governante ha deciso così. Qui siamo ben oltre il green pass. Questa che viene proposta come la sola «non ideologica» è la più pura quintessenza del pensiero di Carl Schmitt, il costituzionalista di Hitler. La politica è precisamente decidere lo stato d’eccezione. È prendere decisioni che chiamare «non garantite rispetto al loro esito» è dir poco. Perché quello che si intende è: radicalmente arbitrarie, cioè “eccezionali” o svincolate da tutte le regole che funzionano ordinariamente, costituzionali e legali comprese; decisioni volta a volta motivate da ciò che il decisore ritiene essere essenziale alla “sopravvivenza” dello stato. E perché non allo “spazio vitale”, alla “comunità di destino”, al bene del popolo italiano?

Ma il particolare più significativo di quella riflessione sono le virgolette apposte alla parola “giustizia”. Che equivalgono a un sorriso beffardo. Insinuano: tu dici “giustizia”, e intendi “gli automatismi di ciò che è già deciso”. Come a dire: non c’è altra “giustizia” che le leggi e le norme che di fatto ci sono, esse stesse prodotte da decisioni arbitrarie precedenti. La giustizia non è fatta di princìpi che, per quanto insufficienti, ci dicono le cose dovute agli umani anche se non ci fosse alcun dio (e la pari dignità o non discriminazione è fra queste la prima). Macché: è fatta dai prìncipi che hanno legiferato prima. Ecco, siccome mi accusano spesso di ragionare troppo, propongo un test. Quanti cittadini italiani sono “responsabilmente” disposti a considerare un’ingiustizia necessaria il green pass? E siccome sui social si trovano anche cose spiritose, quanti preferiscono un’onesta risata, del tipo: “15 novembre, obbligo di catene a bordo! Dittatura pneumatica!”?

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