Anche se il virus si stava già diffondendo da un po’, in questi giorni la pandemia compie ufficialmente un anno e non si può evitare il bilancio: che cosa abbiamo imparato e che cosa ci aspetta. Abbiamo abbassato il tasso di retorica: le poche bandiere tricolori pendono dai balconi come straccetti, nessuno canta più né osa scrivere “andrà tutto bene”.

Ogni pandemia porta con sé le tracce del proprio tempo: la peste manzoniana fu accompagnata dagli ultimi spasimi di una magia posta di fronte alla nascita della scienza moderna; la nostra di ora è figlia di un miglioramento alimentare ottenuto con gli allevamenti intensivi e privilegia la virtualità dei rapporti in un clima culturale che stava facendo i conti coi guasti dell’irrealtà: ci siamo resi conto che pretendiamo di esprimere noi stessi affidandoci a prodotti tecnologici in mano a oligopoli privati, che la politica utilizza senza esser riuscita a regolamentarli.

Abbiamo visto che la pandemia è asimmetrica e ha colpito sostanzialmente due continenti su cinque (Europa e America, con l’India a fare da cerniera tra Asia e Occidente); ciò avrà conseguenze geopolitiche di lungo periodo, rafforzando l’imperialismo cinese. I paperi robot che in Giappone parlano con gli anziani soli ci hanno spinto a riflessioni critiche sulle nostre tradizioni abitative (o famiglia o ghettizzazione in un istituto è l’unica alternativa per noi vecchi ?)

Non ci sarà il giorno della liberazione tanto sognato: i vaccini sono anch’essi soggetti alla concorrenza economica e temo il momento in cui la criminalità organizzata (oltre a comprare tutto ciò che sta chiudendo) ci metterà le mani sopra.

L’Europa ha deciso di anteporre la vaccinazione dei più fragili a quella dei più produttivi, segno che si punta su una riduzione sopportabile dei morti, dopo di che le aziende andranno avanti come possono e i Paesi più indebitati dovranno correre più rischi perché potranno ristorare meno lockdown.

Ci saranno disobbedienze sempre più marcate, ma sarà difficile punire un ristoratore che vuole lavorare o uno studente che chiede di andare a scuola. L’imbarazzo, la disarmonia e la depressione saranno gli emblemi del 2021: prevedo che la lotta sarà un’opzione praticata settorialmente e a strappi, perché le situazioni sono troppo differenziate, troppo disarticolate e rissose sono da noi le fonti del potere.

Se (in un’epoca di realtà-spettacolo) il trash televisivo può essere un indizio attendibile, è significativo che l’attuale Grande Fratello stia diventando il primo reality che si può assimilare a un sequestro di persona, dove i ‘vipponi’ risultano esemplari proprio in quanto sull’orlo di una crisi di nervi.

Il virtuale era attraente fin che il reale sembrava sicuro a portata di mano; ma se il reale si rivela concentrazionario, l’astinenza non può esser scambiata per maturità. “I ciechi”, scriveva Brecht, “parlano di un’uscita, io ci vedo”. (Ma tra due mesi è primavera).

         

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