«'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella. /Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo, / trasenno stu canciello ha fatt'o punto/ c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme: / tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?». Nel suo poema più famoso, ‘A Livella, Totò descrive la morte come il maggior equalizzatore sociale: di fronte ad essa, non c’è reddito, ricchezza, o quarto di nobiltà che tenga. 

Gli storici e i demografi ci insegnano che, a livello collettivo, grandi eventi catastrofici hanno effetti simili su intere società. Nel suo libro intitolato, appunto, La Grande Livellatrice, lo storico della Stanford University Walter Scheidel sostiene che periodi di violenza diffusa, come le guerre, o di epidemie, riducono significativamente le disuguaglianze economiche e sociali.

Con un titanico lavoro d’archivio, Guido Alfani dell’Università Bocconi ha esteso la serie storica della disuguaglianza elaborata da Thomas Piketty, che parte dal 1800, indietro fino al 1300. Una prima scoperta di questo lavoro è che la disuguaglianza della ricchezza non ha cominciato ad aumentare con la rivoluzione industriale; il progressivo aumento delle disparità economiche e sociali ha caratterizzato tutta l’età moderna. Alfani poi conferma, coi suoi dati, le conclusioni di Scheidel: le uniche interruzioni nel trend crescente di disuguaglianza dal 1300 ad oggi, si sono verificate dopo Peste Nera a metà del quattordicesimo secolo e nel periodo dalla fine della Prima Guerra Mondiale all’immediato Secondo Dopoguerra.

Per chi crede che un mondo meno diseguale sia desiderabile, queste conclusioni sono difficili da digerire. Una implicazione è che, indipendentemente dall’epoca storica, regime politico, e avanzamento tecnologico, ci sarebbe una tendenza “naturale” delle società umane a diventare più diseguali.

Inoltre, la riduzione delle disparità richiederebbe, oltre a sacrifici umani, la distruzione di ricchezza, invece che la sua creazione o quantomeno distribuzione.   

Il pensiero va inevitabilmente all’immediato quotidiano, con una pandemia ancora in corso e una guerra alle porte dell’Europa. La distruzione innanzitutto di vite umane, e poi di reddito e ricchezza, sono evidenti. Ma ciò che sta emergendo è che, in aggiunta, queste due tragedie potrebbero aumentare la disuguaglianza, anziché diminuirla, e colpire più pesantemente chi già versa in condizioni precarie.

Gli effetti della pandemia

Nel caso dell’epidemia di COVID, per esempio, l’effetto sull’occupazione (e quindi sul reddito delle famiglie) è stato asimmetrico. Grazie alle tecnologie digitali, specialmente durante i periodi con più restrizioni alla mobilità è stato possibile svolgere molti lavori anche a distanza. Molti ma non tutti, e anzi complessivamente una minoranza. Si è trattato soprattutto di professioni amministrative e intellettuali, che riguardano lavoratori con elevata educazione e in posizioni tipicamente dirigenziali e più tutelate. 

Ma per tanti, ad esempio nei servizi (ristorazione, commercio, etc.) e nell’industria, il lavoro da casa non era un'opzione. Per queste categorie, gli esiti più frequenti sono stati la minore occupazione, oppure la necessità di lavorare in condizioni spesso non adeguate a evitare contagio e diffusione della malattia.

Ad esempio, la mia vita di professore universitario (a tempo indeterminato con un buon stipendio) è cambiata ben poco negli ultimi due anni. Inoltre, potendo lavorare da casa, e con qualche competenza nell’ambito educativo, mia moglie ed io abbiamo anche potuto assistere le nostre figlie nella transizione alla didattica a distanza. Ma gli effetti sulla vita lavorativa e familiare di un cameriere, un magazziniere di Amazon, la titolare di un piccolo esercizio commerciale o un’operaia, e con essi le conseguenze sulla formazione dei loro figli, sono stati profondamente diversi. Queste disparità si aggiungono a quelle già esistenti rafforzandole, rendendo più difficile un riequilibrio di opportunità anche per le generazioni future. Gli aiuti temporanei hanno verosimilmente aiutato, ma le conseguenze più severe potrebbero emergere nel più lungo periodo.

L’aggressione russa verosimilmente avrà un effetto di riequilibrio delle disuguaglianze in Ucraina, ma come si diceva, nella forma di indicibili tragedie umane e distruzione generalizzata. Anche in questo caso estremo, tuttavia, è plausibile aspettarsi che le classi più abbienti possano confidare in capitali che, a differenza del passato, sono meno fisici e più “digitali” e mobili (e quindi meno legati alla distruzione nel paese), mentre le persone economicamente più fragili non avranno reti di protezione.

Nel resto del mondo gli effetti di questa guerra, come per il COVID, rischiano di essere fortemente asimmetrici. L’aumento del costo dell’energia e di altre materie prime penalizza relativamente di più le famiglie meno abbienti, perché la spesa per riscaldamento, energia elettrica e beni primari incide sul bilancio di queste famiglie proporzionalmente di più. Il rallentamento della crescita economica e l’inflazione, in generale, hanno effetti regressivi. Chi ha come fonte di sostentamento quasi unicamente il reddito da lavoro può vedere i propri redditi svalutati. Chi è più benestante, al contrario, può contare su risparmi e su investimenti più sofisticati e diversificati che minimizzano l’impatto di eventi negativi.

In aggiunta alle differenze per classe sociale all’interno di un paese, la disparità rischia di essere ancora più estrema tra paesi ricchi e poveri. Si prospetta ad esempio effetti devastanti sull’agricoltura e la disponibilità di grano e di cibo specialmente nel sud del mondo.

Molti paesi, arrivano a questo appuntamento con la storia cariche di un debito pubblico enorme, oltre una volta e mezzo il reddito prodotto nel caso dell’Italia. Sebbene l’imperativo del pareggio di bilancio non sia più stringente come fino al recente passato, una tale situazione dei conti pubblici richiede di prendere delle scelte.

In queste condizioni, le forze progressiste dovrebbero piuttosto farsi promotrici ancora più convinte di una maggiore redistribuzione interna, e di maggiore cooperazione coi paesi del sud del mondo in difficoltà.

Se, come ci dicono gli storici, sembra esserci una tendenza quasi “naturale” all’aumento della disuguaglianza, Immanuel Kant e John Stuart Mill, tra gli altri, ci hanno insegnato che ciò che caratterizza il genere umano è la capacità di conoscere le leggi della natura e di correggere ciò che di queste leggi non conforma al miglioramento umano.

E l’economia e la pratica politica ci offrono spunti ed esempi, dai più tradizionali ai più originali, di come combattere la disuguaglianza senza rendere tutti più poveri: da una maggiore progressività fiscale (sul reddito, il capitale, le successioni) al reddito garantito e salario minimo, al recupero del ruolo del sindacato, con tutele anche a lavori atipici e solo formalmente autonomi; dalla compartecipazione dei lavoratori alla proprietà e al governo dell’impresa, agli investimenti nella scuola a partire da quella dell'infanzia, e nella sanità, entrambe pubbliche e universalmente accessibili; da una effettiva parità di genere e tutela dei diritti civili a politiche industriali che orientino verso settori innovativi e creatori di “buoni lavori”, garantiscano concorrenza, considerino servizi come l’informazione come beni pubblici da tutelare, e facilitino la transizione verde (il cambiamento climatico, a sua volta, ha effetti regressivi).

Non si tratta soltanto di giustizia sociale. In assenza di queste politiche, l'ampliamento del divario di opportunità potrebbe ulteriormente minare la fiducia, già fragile, verso le istituzioni del capitalismo democratico occidentale.

I valori dell’occidente

Molti commentatori, in un impeto di sterile virilità, lamentano una presunta debolezza culturale e morale dell’Occidente, e vedono in un’azione più diretta nel conflitto russo-ucraino un’occasione storica per riaffermarne i valori. Ma questa baldanza bellica non considera le minacce alla pace sociale che la maggior disuguaglianza, se non affrontata, porterebbe. Questo, davvero, può minacciare i valori dell’Occidente. 

La speranza, ovviamente, è che Putin fermi al più presto il suo esercito ed esca militarmente sconfitto dalla sua nefasta avventura. Ma se questo attacco ha rappresentato anche un conflitto fra l’occidente libero e democratico e l’autocrazia russa, e se è vero che è proprio dell’avanzata della democrazia che Putin ha paura, questa crisi di fiducia nella democrazia che la maggior disuguaglianza porterebbe sarebbe una vittoria per il tiranno paradossalmente più importante di quella militare. 

In uno scenario di crescente disuguaglianza e risorse scarse, è quasi straniante vedere che quasi tutto l’arco parlamentare italiano si vuole impegnare ad aumentare le spese militari.

Sarebbe auspicabile che almeno le forze progressiste correggano il loro tiro e le loro priorità, per poi non rischiare, come ha detto Papa Francesco, di doversene vergognare.

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