La guerra di Putin ci ha travolti tutti, togliendoci spesso lucidità. Davanti a tanta violenza è istintivo schierarsi, polarizzandosi senza accettare approfondimenti e riflessioni critiche.

È ciò che sta avvenendo nella polemica tra i cosiddetti pacifisti e chi sostiene che occorra armare l’Ucraina. Autorevoli commentatori di importanti giornali cadono nella trappola della reazione impulsiva accusando di «neutralismo», «spirito di Monaco» ecc. chi pone dubbi, citando (in genere a sproposito) i fatti della Seconda guerra mondiale.

Purtroppo ciò è già accaduto con le guerre del Golfo e non si vuole vedere le lezioni della storia, soprattutto recente. Quale guerra ha mai risolto qualcosa, in medio oriente, Balcani, Afghanistan o altrove? Non è abbastanza evidente che si tratta di uno strumento obsoleto e che alimentarle non porta a buoni risultati? 

Dal canto loro anche taluni pacifisti usano un linguaggio vecchio, mutuato dal tempo della Guerra fredda, che vede tutto il male da una parte sola: sarebbe utile che comprendessero che oggi siamo in una fase peggiore di quella, perché c’è meno controllo e soprattutto non c’è comunicazione tra est e ovest.

Risolvere tutto con il mercato

Una delle cose che lucidamente dobbiamo dirci tutti (pacifisti e non) è che tra Putin e i nostri leader occidentali almeno dal 2014 (ma forse anche dal 2008) non c’è più stata alcuna vera forma di comunicazione, né tanto meno di negoziato.

Siamo giunti a questo punto proprio a causa dell’incomunicabilità, mentre durante la Guerra fredda c’era il telefono rosso e le due parti si parlavano sempre. Non si scambi la contrattazione commerciale (vedi il gas ma non solo) per il negoziato politico. Questo è semmai l’abbaglio occidentale del post Guerra fredda: credere che tutto si possa risolvere con il mercato.

Aver pensato di trattare Mosca solo con il commercio è stato un inganno che ha umiliato i russi. Ancora recentemente la premio Nobel bielorussa Svetlana Aleksievič ricordava che più del 60 per cento dei russi resta favorevole a Putin anche ora, ritenendo che sia colui che ha fatto rialzare la testa al loro paese offeso dagli occidentali. 

Assurda ipocrisia

Chi oggi sostiene che sia giusto armare l’Ucraina dice anche «non siamo contro i russi» e «non siamo in guerra». Non basta: deve sapere che agli occhi dei russi ciò alimenta la guerra anche se lo fa apparentemente senza sporcarsi le mani. Ci dobbiamo onestamente chiedere: sono gli ucraini a dover morire per noi? Stiamo invocando le armi all’Ucraina per guadagnare tempo egoisticamente per noi, a prezzo di migliaia di vittime civili innocenti?

È singolare che chi sostiene tale posizione dimentica sempre di aggiungere che continuiamo a comprare gas russo senza togliere lo Swift alla banca di Gazprom: assurda ipocrisia. Si dovrebbe essere più conseguenti: stiamo pericolosamente andando anche noi in guerra.

Ma invece – grazie a Dio – la guerra non la vogliamo, tanto meno quella nucleare che Putin minaccia. Dall’altro lato c’è chi sostiene che Kiev dovrebbe arrendersi subito per limitare i danni, tanto la Russia vincerà lo stesso e la Nato non interverrà.

Infatti gli americani (questa volta più prudenti degli europei) negano la no-fly zone che sarebbe percepita come atto di guerra da parte di Mosca. A questo punto ci sarebbe da dire: e quindi?

La polarizzazione di entrambe le reazioni incaglia la riflessione e la fa deragliare nell’emotività. Così la polemica sulla guerra si incastra in un non-dialogo provocato da posizioni viscerali e irrazionali.

Bellicismi ed emotività

Cercando di rimanere ai fatti e di non cadere vittime della propaganda, andrebbero fissati alcuni punti oggettivi: 
1. Attaccando l’Ucraina, la Russia è passata totalmente dalla parte del torto: ha aggredito la pace europea. La Nato può aver avuto delle responsabilità in passato ma ora c’è un solo colpevole: il presidente Putin e il suo governo della Russia.

2. L’Unione europea e la Nato non vogliono andare in guerra, non desiderano allargare il conflitto. Per questo è utile rammentare che ogni iniziativa militare, anche indiretta, può farci fatalmente scivolare sulla china che pur diciamo di non volere. Non si può essere leggeri, emotivi o istintivi a tale riguardo, nemmeno con le parole. 

3. Per tornare alla pace occorre attivarsi politicamente e riservatamente. È davvero questa l’unica cosa che conta. Sostenere che oggi non è il tempo del dialogo è fuorviante: è sempre il tempo del negoziato, soprattutto confidenziale e certo non a favore di telecamera. Purtroppo pare che le classi dirigenti odierne siano schiave di un eccesso di comunicazione. Parlarsi in questi casi avviene con trattative segrete: troppa luce acceca. 

4. In qualunque caso arriveremo a un negoziato, meglio dunque giungerci subito perché non sia solo di resa incondizionata. Un negoziato è sempre doloroso: si devono fare concessioni anche su ciò che si è dichiarato inaccettabile (Crimea, Donbass ecc.). Nel compromesso si acconsente di perdere qualcosa, da entrambe le parti. Ciò che ora avviene tra russi e ucraini non è un vero negoziato perché è senza osservatori e senza mediatori, risultando troppo fragile.

5. La guerra è la conseguenza del fallimento degli accordi di Minsk, che oggi tutti dimenticano. Ci si chieda cosa non ha funzionato e si riparta da chi mediò quell’accordo: Angela Merkel, forse la sola che ha ancora l’autorevolezza intatta per parlare con Putin.

6. Demonizzare l’avversario o dargli del folle non serve, anzi rende le cose ancora più pericolose e fuori controllo. Analizzare gli avvenimenti in termini psichici o psicologici è tipico dello spirito di questo tempo ma quando si tratta di guerra è bene ricordare che tutto gira sempre attorno agli interessi nazionali.

7. Aggredendo l’Ucraina, Putin ha trascinato la Russia in un isolamento che durerà. Probabilmente si dovrà attendere una nuova leadership a Mosca per girare pagina e riprendere una piena cooperazione. Dell’attuale dirigenza russa oggi nessuno si fida più e il voto in Assemblea generale dell’Onu lo ha dimostrato. A tal proposito la storia insegna che esagerare nel mettere la Russia con le spalle al muro è sempre pericoloso.

8. Le sanzioni decise dall’occidente sono pesantissime ma dobbiamo essere coscienti che gettano la Russia nelle braccia della Cina. Anche qui ci vuole lucidità per non lamentarcene in seguito. L’interesse dell’Europa e degli Usa è invece ricostruire un sistema internazionale cooperativo con la Russia, a partire dal nostro continente. Nel 2016 Henry Kissinger (non propriamente un pacifista) ha scritto: «Trascinare l’Ucraina in un confronto tra est e ovest impedirà per decenni di portare la Russia in un sistema internazionale cooperativo». Siamo a questo punto ma non dobbiamo peggiorare la situazione mettendo a repentaglio il futuro. 

9. Chi è a favore delle sanzioni dovrebbe essere conseguente: smettere subito di comprare il gas russo e accettare di soffrire – almeno un po’ – con gli ucraini. Tanto la strada ormai è segnata: la guerra accelera la fine della vendita del gas russo in Europa e anche l’Italia si dovrà riconvertire ad altre fonti energetiche.

10. La guerra ha una sua logica interna che nessuno – nemmeno Putin – controlla: aizzarla può condurre a gravi conseguenze inattese. Tutti i nazionalismi europei, nessuno escluso, sono terribilmente letali: hanno già causato due guerre mondiali. Nutrirli provoca solamente nuovi lutti, come sappiamo dalla storia. 

Per questo i bellicismi e l’emotività con cui si reagisce oggi al dramma della guerra a Kiev serve soltanto a mandare gli ucraini allo sbaraglio, allungando le loro sofferenze. Gli alleati davano armi alla Resistenza ma loro combattevano mentre noi non vogliamo farlo: il parallelo non tiene.

L’Europa deve smettere di cercare altri che combattano le guerre che – giustamente – non vuole più fare. D’altro canto è inutile cercare un altro colpevole, in genere additando gli Usa, come se ci fosse uno schema che ci ha portato meccanicamente alla guerra. La guerra non è ineluttabile: è sempre una scelta politica dei leader e può essere invertita. La lezione di Gandhi in questo senso aiuta: occhio per occhio rende il mondo cieco. 

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