Dopo un altro, ultimativo avvertimento del Roskomnadzor, l’ufficio per la supervisione delle comunicazioni, Novaja Gazeta ha deciso di sospendere le pubblicazioni.

Il giornale indipendente diretto da Dmitrj Muratov, premio Nobel per la pace nel 2021 assieme a Maria Ressa, aveva resistito alle limitazioni alla libertà e alle distorsioni propagandistiche che hanno soffocato gran parte dei media indipendenti in Russia, ma l’intervista di un gruppo di giornalisti russi a Volodymyr Zelensky, a cui Muratov ha partecipato inviando domande scritte, ha scatenato la reazione finale di Vladimir Putin.

Nemmeno la genuflessione consapevole al menzognero eufemismo della «operazione militare speciale», concessa per continuare a pubblicare pezzi di verità scritti in codice, è stata sufficiente per andare avanti.

Novaja Gazeta è tragicamente abituata alla repressione. Dal 2000, sette fra redattori e collaboratori del giornale sono stati uccisi per aver svelato orrori e corruzione del governo.

Fra questi c’era anche Anna Politkovskaya, ammazzata nel 2006 a colpi di pistola nel centro di Mosca. Il pendolo putiniano che oscilla fra la repressione esplicita dei media e la tolleranza di una quota di dissenso controllato funzionale al regime questa volta si è fermato sulla prima, mettendo il più noto dei giornali indipendenti nella lunga lista dei media che non ci sono più o sono costretti a continuare in esilio.

Ma il tiranno non è sempre così lineare. Il caso di Marina Ovsyannikova, la giornalista che ha mostrato in diretta tv un cartello contro la guerra, si presta a una controlettura molto diffusa nei media ucraini.

Per il momento ha ottenuto la libertà pagando una multa, e le autorità hanno annunciato un processo separato per l’irruzione televisiva, ma intanto sui social e nelle interviste con i media occidentali insiste soprattutto sulla richiesta all’Europa di togliere le sanzioni che danneggiano il popolo russo, e non solo il governo.

Tanto basta ad alimentare le voci di un’ennesima trovata diabolica del Cremlino. Del resto, il governo russo aveva avuto il coraggio, si fa per dire, di congratularsi con Muratov quando aveva ricevuto il Nobel, lui che aveva detto che avrebbero dovuto darlo a Navalny e poi ha messo all’asta la medaglia per sostenere i rifugiati ucraini.

Putin avvelena e addomestica, uccide e blandisce, castiga ferocemente e tollera per convenienza. Al confronto sembrano quasi più onesti i leader sovietici che impedivano con la minaccia ai dissidenti di accettare il premio Nobel.

Temevano che l’effetto sull’opinione pubblica internazionale sarebbe stato devastante. Con un sovrappiù di indecenza, Putin li applaude, salvo poi soffocarli quando serve.

 

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