Molte persone pensano, in buona fede, che tutti i dati sulla pandemia siano a disposizione, non siamo forse sommersi ogni giorno tra bollettini, indici di contagio, monitoraggi delle terapie intensive? La sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa lo ha assicurato in diretta tv l’altra sera, a Otto e Mezzo, su La7: i dati ci sono, tutto è trasparente, “dai numeri dei tamponi, ai ricoverati, alle percentuali dei recoverati in terapia intensiva”. Ma non è vero. 

Prendiamo i dati sulle terapie intensive, che Zampa invita a consultare sul sito di Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali: sappiamo che l’11 novembre era occupato il 34 per cento dei posti letto, contro il 33 per cento del giorno prima e abbiamo questo dato per ogni regione. Ma un posto letto in terapia intensiva si può liberare per due ragioni: perché il paziente si sente meglio o perché muore. Se in una città ci sono 100 posti di terapia intensiva disponibili e oggi ce ne sono 80 occupati e tra una settimana ce ne sono ancora 80, questa informazione non mi dice nulla.

Il numero potrebbe essere rimasto costante perché quegli 80 pazienti hanno avuto bisogno di cure per una settimana e nessun altro si è presentato al pronto soccorso oppure perché dei primi 80 pazienti ne sono morti 30, sostituiti da altri 30 bisognosi. Ma noi non lo possiamo sapere, perché i dati raccolti dalle regioni - ammesso che siano precisi - non vengono divulgati dal governo con questo  dettaglio. 

Il governo poi ha scelto come indicatore di riferimento per decidere chiusure e aperture Rt, che misura la velocità di diffusione del contagio. Ma come osserva la fondazione Gimbe (per la medicina basata sull’evidenza) in una recente audizione parlamentare, la sua attendibilità dipende da come vengono comunicati i dati dalle regioni: più la pandemia si allarga, maggiori i ritardi. E non è chiaro se e come il governo tenga conto di questi ritardi nel calcolo di Rt. 

Quanti sono i morti

Non abbiamo neppure informazioni all’apparenza ovvie: quanta gente muore di Covid? Ci sono i morti comunicati ogni giorno dalla protezione civile, ieri 636, ma questo è il conto di chi ha avuto un tampone ed è deceduto da “positivo”.

Ora che il sistema di tracciamento è saltato, molte persone non riescono ad avere un tampone, alcune moriranno a casa. Altre moriranno perché non riescono ad avere in tempo utile diagnosi e cure per altre malattie. Per fare questi calcoli bisognerebbe avere i dati sui decessi giornalieri di ogni comune, aggregati insieme, ma dall’inizio della pandemia il governo non ha messo in piedi un sistema di raccolta dati. 

Cosa ce ne facciamo di tutte queste informazioni? E chi le deve elaborare? Le tecniche di analisi dei dati, in presenza di un numero sufficiente di osservazioni e con una conoscenza capillare del contesto, possono permettere quegli interventi mirati che le istituzioni italiane di ogni livello non sono riuscite a introdurre in questi mesi di pandemia. 

Il governo e il ministero della Salute continuano a prendere decisioni sulla base del bollettino quotidiano della Protezione civile e sulla base di quei numeri adottano provvedimenti restrittivi, anche se ormai tutti sappiamo che ci vogliono settimane per vederne gli effetti. 

Cento accademici dei Lincei avevano contestato esattamente queste cose, non al governo ma addirittura al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con una lettera a prima firma del fisico Giorgio Parisi. E’ finita che il governo ha concesso solo a loro il pieno accesso ai dati disponibili, con un protocollo tra Lincei e Istituto superiore di sanità di cui ancora non conosciamo i dettagli.

Una mossa che avrà il sicuro effetto di tacitare le critiche dei prestigiosi accademici, ma che impedisce al resto della comunità scientifica di fare analisi indipendenti (per un accademico i dati valgono molto più dei soldi, perché determinano prestigio, carriera e, anche, soldi: ma se il ministero avesse dato qualche milione ai Lincei per silenziarli si sarebbe sollevato un grande scandalo).

Con questo approccio ai dati da parte dell’esecutivo, quindi, non ci si può stupire che in tv la sottosegretaria Zampa si avventuri a suggerire regole per il cenone di Natale riservato ai soli parenti di primo grado, senza porsi neppure il problema se questi vivono in regioni o stati diverse e se sono più pericolosi, per esempio, dei vicini del piano di sotto. Per stabilirlo ci vorrebbero, indovinate un po’, dei dati.

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