Anche i cardinali celebrano il primo maggio, segnato nel calendario cattolico come festa di san Giuseppe artigiano (o lavoratore), introdotta formalmente settant’anni fa da Pio XII, in piena Guerra fredda. Prima però d’interrompere per un giorno la serie delle congregazioni generali – le riunioni plenarie che durante la sede vacante riuniscono l’intero collegio – i cardinali hanno battuto due colpi, nello stile proprio del rigore giuridico e con sfumature sottili ma nello stesso tempo inequivocabili.

Lo scopo principale era rassicurare e garantire che, dopo giorni convulsi, in Vaticano la preparazione del conclave si sta svolgendo secondo il diritto. Con un effetto chiarissimo, quello di ribadire che durante la sede vacante è il collegio cardinalizio ad avere l’autorità suprema nella chiesa cattolica.

Esprimendo una convinzione maturata nel Medioevo e ripresa da Giuseppe Gioacchino Belli quasi due secoli fa in uno dei Sonetti (magnificamente editi da Einaudi): alla morte del papa l’autorità papale si trasmette dal pontefice defunto al suo successore, quasi non avesse un’anima personale.

Nel sonetto Er passa-mano, composto nel 1835, il poeta descrive questa transizione di poteri con efficacia straordinaria grazie a un romanesco che non ha bisogno di traduzione: «Er Papa, er Visceddìo, Nostro Siggnore, è un Padre eterno com’er Padr’Eterno. Ciovè nun more, o, ppe ddì mmejjo, more, Ma mmore solamente in ne l’isterno. Chè cquanno er corpo suo lassa er governo, L’anima, ferma in ne l’antico onore, Nun va nnè in paradiso nè a l’inferno, Passa subbito in corpo ar zuccessore».

Cardinali elettori e caso Becciu

Teologi e canonisti medievali avevano elaborato la visione mistica del corpo della chiesa che durante la sede vacante passa nei cardinali. Agostino Trionfo scrive che «la potestà papale rimane nel collegio, ossia nella chiesa, quando il papa muore: nel collegio, in quanto radice vicina, e nella chiesa dei prelati e altri fedeli, in quanto radice remota». A completare questa suggestiva teoria è lo spagnolo Alvaro Pelagio: alla morte del papa «il corpo dei cardinali e tutta la chiesa hanno come capo generale della chiesa e vero e proprio, Cristo vivente».

Nell’ultimo giorno di aprile, decimo della sede vacante, i due colpi battuti dal collegio dei cardinali riguardano l’esorbitante numero di elettori e, ancora, il caso Becciu. L’affare relativo al prelato sardo – condannato in un primo grado dal tribunale dello stato vaticano nel corso di un processo lungo e criticatissimo – ha evidentemente molto colpito i suoi colleghi, arrivati a 183, tra i quali sono 124 quelli con diritto di voto attivo. In attesa che arrivino gli altri nove.

Alla morte del pontefice i cardinali con meno di ottant’anni, e dunque per questo elettori, erano 136. Per ragioni di salute due di loro hanno comunicato che non verranno a Roma – lo spagnolo Antonio Cañizares Llovera e il keniota John Njue – e Angelo Becciu, presente invece alle congregazioni generali, ha dichiarato che non entrerà nella cappella Sistina a votare «per contribuire alla comunione e alla serenità del conclave». Gli elettori dovrebbero così essere 133, e il quorum di due terzi necessario all’elezione scende di conseguenza a 89.

La legittimità del conclave

Ma la vigente legge che governa l’elezione del papa, la costituzione apostolica Universi dominici gregis – pubblicata da Giovanni Paolo II nel 1996 e ritoccata nel 2007 da Benedetto XVI – prevede che il numero massimo di elettori «non deve superare i centoventi». Papa Francesco invece l’ha superato creando lo scorso 7 dicembre altri venti elettori. A questi il collegio dei cardinali, pur richiamandosi alla stessa costituzione, riconosce oggi «il diritto di eleggere il romano pontefice, dal momento della loro creazione e pubblicazione».

Per quanto infine riguarda Becciu la dichiarazione cardinalizia «esprime apprezzamento per il gesto da lui compiuto e auspica che gli organi di giustizia competenti possano accertare definitivamente i fatti». Un segnale chiarissimo da parte dei cardinali che, nel loro insieme, non appaiono molto convinti che i fatti – cioè la colpevolezza del loro collega – siano stati davvero accertati dal tribunale dello stato vaticano.

Il collegio cardinalizio ha così voluto sbarazzare il campo da possibili obiezioni sulla legittimità e la regolarità del prossimo conclave, memore probabilmente delle insensate polemiche di gruppi tradizionalisti contro l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio. Con l’ovvio riconoscimento della «suprema potestà» del pontefice, ma nello stesso tempo intervenendo sui risultati di fatto ambigui e rischiosi di un esercizio solitario e poco collegiale del potere da parte di papa Francesco.

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