A livello italiano (ed europeo) in materia d’immigrazione si deve cambiare tutto. Oggi la cosa è ancora più evidente e appare in tutta la sua brutalità proprio nel nostro paese. Le scelte del governo sono davvero sconcertanti e rappresentano un tragico mix tra le tradizionali spinte del sovranismo – le spinte a premere sulla cultura dell’emergenza e sull’esasperazione dei conflitti – e un pressapochismo impressionante nella gestione delle attività connesse a chi “arriva”.

In questa cornice sono stati compiuti passi davvero imbarazzanti accompagnati dai tamburi della tradizionale propaganda, nonché da un pressapochismo grossolano che ha portato perfino ai recenti interventi della magistratura, vistasi evidentemente costretta ad accogliere ricorsi. Così il cortocircuito tra gli annunci e i toni – «con noi non arriveranno più immigrati» – e i dati di fatto di oggi è servito.

Per questo spesso parliamo di “fallimento” del governo in materia di politiche migratorie. Del resto, alla faccia dell’oscena retorica di questi anni, sono aumentati gli arrivi “irregolari”, sono cresciuti i barconi e i barchini, sono state contate nuove morti nel Mediterraneo, i sindaci denunciano la propria solitudine.

La tentazione salviniana

E viene pure il sospetto che in qualche caso si confermi la tentazione salviniana resasi esplicita negli anni 2018 e 2019: non governare la questione migratoria è un punto d’arrivo di una strategia desiderosa di speculare sul senso di insicurezza permanente determinabile dalla presenza di migranti per strada, malamente accolti e per nulla integrati. In questo contesto l’Italia continua a non fare i conti con le scelte troppo spesso rinviate: quelle di investire su canali d’accesso legali e sicuri e sull’immigrazione legale come strategia ad ampio raggio.

Il Pd ha articolato una proposta strutturata in sette punti (altro che “accoglienza generalizzata” per usare le parole infelici di Giuseppe Conte). E, ancora prima, su questi terreni si era spinto con tutta la sua autorevolezza, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che aveva indicato nelle vie d’accesso legali il terreno su cui lavorare per una svolta in politiche migratorie.

In giorni nei quali la destra insiste con il proprio armamentario di bugie e pillole d’odio si deve ripartire da tutto ciò. Il che vuol dire compiere scelte precise: a livello europeo sostenere la necessità immediata di una missione di soccorso comunitaria, le ragioni della riforma del Regolamento di Dublino e quelle dell’obbligo alla redistribuzione della responsabilità dell’accoglienza e a livello nazionale, innanzitutto, quelle del superamento della Bossi-Fini.

Gestire l’accoglienza

Canali d’accesso legali, poi, deve significare la gestione del fenomeno migratorio alla luce del sole. Cosa significa? Politiche di integrazione fondate su accoglienza diffusa e di qualità, corsi di italiano, corsi di formazione professionale e così via. In altre parole rendere i canali d’accesso legali per uscire dalla logica dell’ombra, dei trafficanti di esseri umani, dei barconi.

Proprio per governare il fenomeno, controllandolo anche molto più efficacemente e ponendosi il tema dei rimpatri – in alcuni casi sempre necessari – come pratiche realizzabili solo laddove esistano le condizioni del rispetto dei diritti umani.

Intendiamoci: meglio non farsi illusioni. La destra infatti insisterà sull’investire sulla paura. Perché ha bisogno della benzina, che poi diventa benzina elettorale, da gettare sul fuoco del rancore. Così continuerà a proporre cpr dove rinchiudere le persone – a prescindere dal tema dell’efficacia dei rimpatri di chi viene per l’appunto recluso – oscene cauzioni, campagne diffamanti.

Noi, cocciutamente, insisteremo a sostegno delle nostre proposte e convinti che una scommessa come quella di una buona politica dell’immigrazione non verrà mai realmente vinta finché non ci sarà una potente inversione di rotta innanzitutto sul tema costituito da un grande progetto sull’Africa e per l’Africa (altro che il ridicolo Piano Mattei). Una sfida globale capace di chiamare in causa l’Europa, anzi forse dovremmo dire: una sfida globale capace di dare ancora più senso alla scommessa europea.

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