Winston Churchill pubblicò il primo volume della sua monumentale Storia della Seconda guerra mondiale nel 1948. Aveva guidato la Gran Bretagna alla vittoria contro la Germania nazista.

Nel luglio del ‘45, appena due mesi dopo il trionfo, gli ingrati elettori inglesi lo mandarono all'opposizione. E lui, anziano e disoccupato, tornò all'amata scrittura che gli valse nel 1953 il premio Nobel per la letteratura, sia per la qualità della prosa sia per l'indiscutibile competenza specifica.

Pensate se nell'estate del 1940, mentre l'Inghilterra era martoriata dai bombardamenti della Luftwaffe, Churchill avesse scritto un libro intitolato Perché vinceremo. E avesse spiegato che lo aveva «pensato per aprire un dibattito sul futuro delle forze armate britanniche».

Fatte le debite proporzioni, è quello che ha fatto il ministro della Salute Roberto Speranza vergando il trionfalistico volumetto Perché guariremo, in cui spiega come «l'Italia ha piegato la curva del contagio con le sue scelte coraggiose».

Il libro doveva uscire in libreria il 22 ottobre ma all'ultimo momento, per ragioni comprensibili, ne è stata bloccata la vendita. L'autore è stato travolto da un'ondata di sarcasmo. Ma ha fatto una figura talmente penosa che, piuttosto che infierire, val la pena di incoraggiarlo a far meglio la prossima volta.

Libri scritti per essere presentati

Speranza infatti sembra uno degli esponenti più seri di questo governo, anche perché non ride mai e questo nella società dell'immagine aiuta. Da quando è iniziata l'emergenza sanitaria si è visto pochissimo in tv, e questo depone a suo favore.

A chi lo accusa di aver dedicato al libro tempo che meglio sarebbe stato impiegato nell'organizzare le difese contro il Covid può sempre rispondere che l'ha scritto nelle ore che virologi e governatori trascorrevano tv.

Difficile dunque accusarlo di aver scritto il libro per esibizionismo, anche se forse ha ceduto alle pressioni di un consulente per l'immagine che gli spiegava che oggi non sei nessuno se non fai notizia ogni giorno, anche con una fesseria. 

Insomma, Speranza è uno dei pochi politici che sembrano crederci. E questo è il problema veramente serio. Il suo portavoce ha spiegato così il lockdown imposto a Perché guariremo: «Il libro è stato pensato per aprire un dibattito sul futuro del Servizio sanitario nazionale. Sarà pubblicato quando il ministro avrà  il tempo da dedicare alla sua presentazione».

Una volta i libri si scrivevano perché venissero letti. Adesso sono pretesti per le presentazioni. Servono, fa sapere Speranza, ad aprire dibattiti. E' questo che fa paura. Il ministro della Salute deve prendere decisioni, non è un opinionista, non apre i dibattiti con i libri.

Tina Anselmi, ministro della Sanità nel 1978, ha firmato le legge che ha istituito il Servizio sanitario nazionale, la legge 180 "Basaglia" e la legge 194 che ha legalizzato l'aborto. Tutto in un solo anno, chiudendo idibattiti, non aprendoli. Ad agitare la discussione ci avevano pensato il grande psichiatra Franco Basaglia sui manicomi, femministe e radicali sull'aborto.

Speranza fa bene a guardare al futuro della sanità perché è il suo dovere. Ma si guardi intorno: al suo ministero lavorano circa 1500 persone, di cui 10 dirigenti generali, 105 dirigenti di seconda fascia e 241 dirigenti sanitari. Tutti pagati dai contribuenti anche per suggerire al ministro i cambiamenti necessari.

Una volta che si è chiarito le idee e ha consolidato una competenza che dopo un anno non può essere granitica, il ministro scriva una mail ai manager sanitari e ai medici italiani (al ministero dovrebbero avere gli indirizzi) e discuta con loro. Poi porti le sue decisioni e le sue proposte al consiglio dei ministri. Sennò finisce che proprio questi generosi difensori del metodo democratico delegheranno ai social il dibattito sul futuro della sanità, costringendo il popolo a inventarsi un'altra competenza dopo quella sulle elezioni americane, i terremoti, i vaccini e le terapie intensive.

Speranza è un politico perbene e lo capirà: se i rappresentanti eletti non si assumono le responsabilità del ruolo e si mimetizzano tra gli opinionisti, la politica non risolverà più niente. E si ridurrà a un nuovo social network da cazzeggio: Facebook, Twitter e il Parlamento, tutto uguale. Così moriremo discutendo ma, questo è davvero brutto, senza neppure ricordarci di che cosa.

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