Forse nessuno si è accorto che l’Italia ha subìto una forte svalutazione rispetto ad altri paesi europei nel corso degli ultimi anni, pur restando nell’euro (che a sua volta si sta svalutando rispetto al dollaro).

Non disponendo più di una moneta nazionale che potesse variare nel cambio rispetto alle altre, l’Italia ha contenuto in modo rilevante i salari e il livello dei prezzi dei beni e servizi che circolano solo nel mercato interno.

In questa maniera ha operato come se svalutasse una sua moneta, dato che negli altri paesi europei i salari sono cresciuti in maniera considerevole e anche i prezzi di molti beni e servizi sono ormai superiori a quelli italiani, come si può constatare viaggiando in Europa.

È anche grazie a questa svalutazione che le esportazioni italiane sono cresciute in maniera particolarmente forte, tanto che nel primo semestre del 2022 la bilancia commerciale, al netto dell’energia, è risultata positiva per 35 miliardi di euro.

Questa nuova forma di svalutazione non ha prodotto inflazione perché non si è riflessa sui prezzi all’importazione, come quando si svalutava la moneta.

Ciononostante essa ha generato una forte pressione sul potere d’acquisto dei lavoratori, dei pensionatii e delle loro famiglie, frenando la domanda interna sostenuta solo grazie al reddito di cittadinanza elargito ai poveri e ai molti bonus decisi dal governo, senza i quali il paese non avrebbe potuto resistere alla crisi della pandemia.

L’inflazione latente

Ma la pressione sul potere d’acquisto dei lavoratori è indice di un’inflazione latente che si sta cumulando all’esplosione dei prezzo dell’energia e agli aumenti di alcuni generi alimentari. Sarà difficile evitare una stagione di richieste salariali elevate per recuperare tutto o parte del potere d’acquisto perso.

In queste condizioni forte è il rischio di un’ondata inflazionistica nei prossimi mesi, quando non avremo ancora un governo in carica capace di contrastare queste tendenze. E invero nei programmi dei partiti politici poco si parla di controllo dell’inflazione, salvo nell’auspicare un tetto al prezzo dell’energia senza per altro sapere come possa essere applicato solo nel nostro paese che così verrebbe tagliato fuori dai rifornimenti di gas e petrolio.

La Commissione europea sta valutando l’ipotesi di un tetto all’energia da imporre ai produttori di gas e un sistema per sganciare in parte il prezzo dell’elettricità dal prezzo del gas, per tener conto delle fonti rinnovabili e di altre fonti il cui costo non varia come quello del gas.

Simili misure appaiono di difficile applicazione e implicano l’avvio di un negoziato con Vladimir Putin che non appare molto agevole nelle more delle sanzioni imposte contro la Russia. Resta all’Europa l’opzione di frenare l’inflazione attraverso una stretta monetaria, come alcuni nella Bce sembrano preconizzare. Ma sarebbe una manovra scarsamente efficace a fronte del rincaro dell’energia e precipiterebbe il Vecchio Continente in una recessione profonda, poco dopo quella subìta a causa del Covid.

La lezione del Covid

Di fronte a questa nuova emergenza, l’Europa dovrebbe reagire come ha fatto con il Covid: un fondo europeo per pagare la differenza tra il tetto fissato al prezzo dell’energia e il costo effettivo sul mercato, così da proteggere i paesi da un eccesso di costo che è temporaneo fin che dura la guerra in Ucraina e finché i paesi non saranno riusciti a sottrarsi alla dipendenza dal gas russo. Oppure un fondo di sostegno alle famiglie che non riescono a sopravvivere all’aumento dei prezzi dell’energia.

Così si riuscirebbe a superare questa fase senza generare troppa inflazione e senza subire una forte recessione.

Se invece si lascerà alla Bce e ai singoli paesi il compito di lottare contro l’inflazione, si rischierà di assistere a una pesante recessione e a nuove frammentazioni del mercato europeo. Di questo, anche di questo dovrebbero parlare i partiti alla vigilia di queste elezioni.                                                               

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